Q uattordici sono i centesimi in più, per un litro di latte, rispetto all'inizio della vertenza. E quattordici sono i giorni trascorsi (invano) dalle elezioni regionali. Due storie apparentemente slegate, eppure figlie della stessa madre: l'incapacità della classe dirigente sarda nello scrivere regole chiare per chi, poi, dovrà applicarle.

Partiamo dalla filiera del pecorino. Un anno sì e l'altro pure si scontrano, da generazioni, chi produce il latte e chi lo trasforma. La Regione cosa ha fatto? Ha avuto il merito (trasversale) di inventare misure economiche per sostenere pastorizia e caseifici, ma non ha mai subordinato i pagamenti al rispetto di un piano. Semplicemente perché quel piano non ha mai avuto il coraggio di scriverlo. Abbiamo già sottolineato che nella filiera del latte qualcuno bara. Ci sono troppe pecore rispetto al latte che il mercato può assorbire? Oppure: perché si insiste nel produrre troppo Pecorino romano, formaggio che i sardi nemmeno conoscono e quindi non consumano? A chi fa comodo avere zone d'ombra? Magari anche alla politica, che può fare il bello e il cattivo tempo per ingraziarsi, quando serve, il mondo dei campi. Fantapolitica? Può essere, ma in su caddaxiu il latte non è sempre bianco. Migliaia di allevatori raccontano con orgoglio di produrre qualità. Tra benessere degli animali in stalla e pascolo sano, le cellule somatiche e la carica microbica sono straordinariamente migliorate rispetto al passato. Ma, alla fine, il 60% del latte sardo finisce nel calderone del Romano, il formaggio più comodo da produrre. (...)

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