La sferzata di Draghi
Beniamino MoroL 'intervento di Mario Draghi al recente meeting di Rimini di Comunione e Liberazione è stato centrato sugli effetti perversi per il Paese della crisi economica in atto e ha suscitato non poco scalpore nei resoconti della stampa e nell'opinione pubblica sempre attenta alle prese di posizione dell'ex presidente della Bce.
Draghi non parla mai a caso, ma va dritto al cuore dei problemi, focalizzandone le possibili soluzioni: è un uomo operativo che non si perde in aspetti secondari, ma ne individua gli aspetti essenziali nella loro disarmante semplicità.
È passata alla storia la sua frase lapidaria del luglio 2012, pronunciata in un meeting londinese nel pieno della crisi economica dei debiti sovrani, quel “whatever it takes” (faremo tutto il possibile, costi quel che costi) con cui ha invertito in senso positivo l'andamento traballante dei mercati finanziari.
A Rimini, il cuore del discorso di Draghi è consistito in un richiamo a non fare pagare ai giovani il prezzo della pandemia.
A tal fine, sempre in forma lapidaria, l'ex presidente della Bce ha fatto due osservazioni: con la prima ha invitato i politici italiani a mettere fine alla politica dei sussidi, mentre con la seconda ha suggerito loro di privilegiare il “debito buono” (quello per investimenti su formazione e infrastrutture) rispetto a “quello cattivo” (la spesa corrente elargita senza una chiara visione del futuro, ma solo per creare consenso).
D raghi non critica il Governo per il modo con cui ha affrontato l'emergenza della pandemia, anzi sostiene al riguardo che «i governi sono intervenuti con misure straordinarie a sostegno dell'occupazione e del reddito. Al di là delle singole agende nazionali, la direzione della risposta è stata corretta». Semmai, «il problema è che i sussidi finiranno e resterà una mancanza di qualificazione professionale che potrà sacrificare la libertà di scelta dei giovani e il loro reddito futuri». Perciò «è urgente un massiccio investimento di intelligenza e risorse finanziarie sull'istruzione e sui giovani».
Ma «c'è anche una ragione morale» che deve spingere a tenere i giovani al centro delle politiche: «Il debito creato è senza precedenti e dovrà essere ripagato da loro. Bisogna dare loro gli strumenti per farlo per vivere in una società migliore della nostra». Perciò, egli assoggetta esplicitamente l'analisi economica a un primato dell'etica. «Non voglio fare oggi una lezione di politica economica ma darvi un messaggio più di natura etica per affrontare insieme le sfide che ci pone la ricostruzione e insieme affermare i valori e gli obiettivi su cui vogliamo costruire la nostra società, le nostre economie in Italia e in Europa».
Il plauso generale che le forze politiche hanno riservato a caldo al discorso di Draghi, il quale è stato ben attento a non entrare sulle scelte specifiche da fare in Italia, ha lasciato il posto, nei giorni successivi, a considerazioni più articolate. Che non si possa andare avanti indefinitamente con la politica dei sussidi suona come un avvertimento all'intera classe politica, ma suona anche come un monito per il Governo. Occorre passare al più presto alla fase della progettazione degli interventi da finanziare col Recovery Fund europeo, per dimostrare che il nuovo debito che ci accingiamo a fare, e che porterà a breve il rapporto debito/Pil oltre il 160%, sia “debito buono” fatto per finanziare nuovi progetti d'investimento. Draghi non lo ha detto esplicitamente, ma su questa scommessa si giocherà la sorte non solo del Governo ma forse anche della classe politica italiana, di sinistra e di destra.
BENIAMINO MORO
DOCENTE DI ECONOMIA POLITICA
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI