D opo il voto al Senato, favorevole per una manciata di voti, ma senza la maggioranza assoluta, cosa farà ora Conte?

Ci sono due alternative. La prima, gradita al Partito democratico, sarebbe quella di andare al Quirinale per rassegnare le dimissioni e ricevere contestualmente un reincarico che potrebbe portare al Conte ter, con una maggioranza allargata a un nuovo partito di centro che potrebbe nascere in Parlamento. La seconda invece è che il premier decida di accontentarsi della mezza vittoria e vada avanti con l'attuale governo. Conte sembra prediligere la seconda.

In entrambi i casi, tuttavia, il premier offrirà a chi è disposto a sostenerlo un patto di legislatura. L'offerta è rivolta a tutti gli europeisti, ai moderati, a chi è pentito di aver creduto in Renzi, ai liberali di Berlusconi, ai 5 Stelle cacciati o usciti dal Movimento, fino ai socialisti e ai democristiani dell'Udc. Conte ha ricordato le «tante riforme realizzate» e quelle che spera di poter ancora fare, facendo leva sulle urgenze che non consentono un vuoto di potere: Recovery plan come occasione storica, scostamento di bilancio, decreto Ristori, vaccini, presidenza del G20. L'appello è che «i cittadini e l'Europa ci guardano». Se i voti non arrivano subito, il premier spera che arriveranno da qui a pochi giorni. Dunque avanti verso un governo di maggioranza relativa o anche di minoranza, che col tempo tuttavia potrà riuscire a costruire un'alleanza più solida.

S orvolando sulle pulsioni euroscettiche che tuttora restano nei 5S, Conte colloca decisamente il suo governo sotto le insegne europeiste, il che gli consente di delimitarne l'area politica di riferimento, escludendo i sovranisti di destra, Lega e Fratelli d'Italia, e puntando invece a conquistare l'area dei centristi berlusconiani di Forza Italia, con l'appendice dell'esclusione di Matteo Renzi, che rimane marchiato come destabilizzatore inaffidabile.

Il fatto di avere ottenuto l'appoggio pieno dell'aula di Montecitorio e sfiorato lo stesso risultato a Palazzo Madama viene considerato dal premier sufficiente per proseguire l'esperienza di governo senza essere costretto a dimettersi. Altri voti potranno arrivare dopo, quando si potranno formare nuovi gruppi parlamentari di fronte alle offerte di ruoli e posti di governo e di sottogoverno. Per il momento, come scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera, «l'ambizione del premier è conquistare quell'area che viene da sempre considerata determinante per governare: il centro».

Naturalmente, non è detto che questo precario equilibrio sia destinato a reggere, specie quando in estate si arriverà al semestre bianco e sarà impossibile andare a votare; ma non è neanche questo il problema politico più grosso. Le vere incognite del governo sono le difficoltà che ci attendono in un futuro denso di incognite, legate alla forte caduta del reddito dovuta al lockdown imposto dal dilagare della pandemia, alla conseguente esplosione del debito pubblico e alla coltre d'incertezza sul come e sul quando ci sarà la nuova fase della ripresa, che non potrà essere gestita da una maggioranza di “volenterosi” in Parlamento senza una visione strategica del futuro del Paese.

Conte può giustamente rivendicare come un successo personale lo storico accordo in Europa sul Recovery Fund, ma sulla sua gestione incombono ancora le nubi dell'incertezza, ritardi e, quel che è peggio, carenze strategiche di fondo da superare.

Anche nella seconda versione dopo le critiche di Renzi, infatti, il Piano europeo contiene obiettivi generici come green economy, sostenibilità ambientale, parità di genere, digitalizzazione, coesione sociale, riforma della PA e potenziamento della ricerca, cui è associata una corrispondente distribuzione di risorse, ma è privo dell'indicazione degli strumenti e dei processi con cui conseguirli.

Di fatto, esso rimane un documento politico carente di analisi economica, con obiettivi spesso contradditori e che non corrisponde a quanto chiede la Commissione Ue. È questa la vera sfida che Conte deve ancora vincere in Italia e in Europa.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
© Riproduzione riservata