Impazza, sui media, la provocazione di Salvini sull'eredità di Enrico Berlinguer. E si affrettano gli aspiranti eredi ad accreditarsi come tali.

Da una parte, c'è chi ritiene che l'apertura di una sede in via delle Botteghe Oscure rappresenti un valido titolo per ambire all'eredità. Si propugna, così, una sorta di successione immobiliare, quasi che idee e programmi restino impregnati nei muri e chi vi abita ne diventi depositario, come per induzione. Dall'altra, tutti coloro che, brandendo i simboli della sinistra, si dicono i veri eredi di Enrico. E qui la successione diventa iconografica. Il credo si identifica con l'icona votiva e chi la fa propria ne diviene custode. Anche questa tentazione lascia il tempo che trova. Anzi, anticamente la si combatté. I Bizantini la temevano e le icone vennero distrutte.

Nel bel mezzo di urla e strepiti in tanti restano disorientati, non sanno capacitarsi. Sono coloro che non si sentono ideologicamente protetti dalle mura e non credono più nei simboli. Almeno da quando la simbologia ha smesso di rappresentare la realtà. Essi avvertono un'offerta politica che si è drammaticamente impoverita, sia in termini di idee e programmi che di classe dirigente, quest'ultima non più in grado di rappresentare alcunché. E purtroppo questa degenerazione viene da molto lontano. Tant'è che lo stesso Enrico aveva tentato di combatterla. Se n'era accorto anche Luciano Bianciardi, un vero intellettuale di sinistra, emarginato e morto in solitudine.

Bianciardi ne “La vita agra” (Milano, 1962) diceva: «La politica, come tutti sanno, ha cessato da molto tempo di essere scienza del buon governo ed è diventata invece arte della conquista e della conservazione del potere. Così la bontà di un uomo politico non si misura sul bene che egli riesce a fare agli altri, ma sulla rapidità con cui arriva al vertice e sul tempo che vi si mantiene. E la lotta politica, cioè la lotta per la conquista e la conservazione del potere, non è ormai più - apparenze a parte - fra stato e stato, tra fazione e fazione, ma interna allo stato, interna alla fazione».

Memori di questo, la provocazione sull'eredità di Berlinguer impone una riflessione. È infatti indubitabile che molti ceti popolari che un tempo si sentivano rappresentati dal Pci, oggi votano Lega. Il che rappresenta un interrogativo per ambedue i fronti contrapposti. Per la sinistra la questione è molto seria e dovrebbe suscitare scalpore più nella sostanza che nel dibattito social. Dovrebbero infatti chiedersi, i sedicenti compagni di oggi, se questo smottamento stia accadendo e perché.

Per la Lega si pone l'interrogativo opposto: questo fenomeno è temporaneo o duraturo? È un abbaglio dovuto ad una comunicazione accattivante o risponde a contenuti programmatici e politiche reali? Quali?

Insomma, taluni dovrebbero approfittare dell'occasione per capire cosa hanno perso, talaltri cosa hanno guadagnato. E se lo meritano. Il dato non è banale giacché quel “cosa” rappresenta un pezzo significativo di società italiana che ha rotto gli steccati e cerca una rappresentanza possibile non essendo più disposta a farsi abbindolare dalle icone (spesso usate a sproposito) e ad incamminarsi -per troppo tempo- verso l'ignoto.

Mettiamola così: Enrico Berlinguer, tra i tanti pregi, aveva un solido ancoraggio a valori di democrazia, giustizia sociale e solidarietà ed una visione innovativa ed egalitaria della società italiana all'interno del patto atlantico. Ciò che lo indusse a raffreddare i rapporti con l'Urss di Breznev, specie dopo la primavera di Praga, e con altri esponenti di quel mondo che (come Zhivkov) non scherzavano, a giudicare dai fatti di Sofia del 1973. Qual'è la visione (non di passato ma) di futuro che possono vantare gli aspiranti eredi di Berlinguer oggi?

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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