C 'è qualcosa che non torna nella narrazione post pandemia Covid-19. Da una parte, il Governo si mostra soddisfatto rispetto ai fondi chiesti e ottenuti dalla UE. Quasi tutti prestiti, corredati da condizioni e controlli per la loro spesa (che non potrà essere né arbitraria, né scriteriata), che chissà se e quando potranno essere restituiti. Quindi, tanti prestiti, altrettante incertezze.

Di contro si cumulano tra loro varie scadenze fiscali, come Imu, già scaduta il 16 giugno (e pagata pure da chi non ha riscosso i canoni di locazione), Irpef e Ires (in scadenza il 30 giugno), con incredibili anticipi su base presuntiva. È in scadenza anche la Tari, a prescindere dal lockdown (bar, ristoranti ecc.. dovranno pagarla anche per i mesi in cui sono stati chiusi). Mentre timidi allentamenti (più annunciati che reali) si registrano su Iva e Irap. Alcuni di questi esborsi saranno al massimo prorogati di qualche mese. Ma su di essi non vi è alcuna incertezza: prima o poi andranno pagati.

Dinanzi alla promessa di avere, i cittadini sono dunque intanto chiamati a dare, come nella suggestiva scena di Totò, Peppino e le 40 mila lire, dove i conti non tornano mai. Il tutto per non aver ancora capito, dopo settant'anni di interventi dello Stato in economia (specie nel Mezzogiorno), che gli aiuti più efficaci sono non certo le sovvenzioni o i prestiti agevolati ma le esenzioni fiscali. Lo Stato, cioè, non deve dare; deve semplicemente non chiedere.

O gni volta che lo Stato trasferisce denaro al cittadino incorriamo infatti nei seguenti intoppi: buona parte di esso viene assorbito dalle procedure di erogazione, sia che se ne occupino enti pubblici (come Inps) o privati (come le banche); si generano nuovi costi burocratici a carico del destinatario, che deve fare richiesta, produrre documenti, rendicontare le spese ecc; si allungano i tempi, con ulteriori disagi per gli aventi diritto; si rendono obbligatori i controlli, con i relativi costi; si assumono rischi, compreso quello di incorrere in truffe e non riuscire, poi, a recuperare il maltolto. E tutto finisce in contenzioso, che ingolfa il sistema della giustizia.

Ma ciò che più preoccupa è che si abbandona il modello liberale per abbracciare quello statalista. Non più lo Stato che, allentando la pressione fiscale, lascia più spazio di libertà economica al cittadino. L'esatto contrario: lo Stato diviene esattore e pagatore al contempo, ingombrando così la vita di famiglie e imprese più e più volte. Provare per credere: chi ha diritto al sostegno economico si troverà in coda, davanti allo sportello pubblico, quando domanda gli aiuti promessi, quando dovrà restituirli e quando viene chiamato a pagare i tributi. Viene insomma esaltata a dismisura la dipendenza del cittadino dal sistema pubblico relegandolo in una condizione di sudditanza e di attesa, oltre a dover soggiacere a continui controlli che, nella selva inestricabile di regole ed adempimenti, porteranno probabilmente a sanzioni.

Ecco compiuto il fatale abbraccio statalista: lo Stato Leviatano (il Dio mortale, diceva Hobbes), sull'altare dell'emergenza, diviene totalizzante, assumendo in sé ogni diritto, compresi quelli di natura spettanti all'individuo. Ha detto bene, negli scorsi giorni, Angelo Panebianco: si illude chi pensa che una temporanea riduzione delle “sole” libertà economiche non vada anche a pregiudizio delle libertà civili e democratiche. Lo sappiamo: certe vicende iniziano sempre da bisogni economici. Poi viene il resto.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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