Continua a far discutere e indignare la morte in carcere di Alexei Navalny, il principale oppositore del presidente russo Vladimir Putin, detenuto in una remota colonia penale dell’Artico e deceduto improvvisamente nei giorni scorsi.

I collaboratori dell’attivista, che aveva 47 anni, hanno reso noto che le autorità russe hanno negato alla famiglia del dissidente l'accesso alla sua salma per il terzo giorno consecutivo. 

«La madre di Alexei e i suoi avvocati sono arrivati all'obitorio questa mattina presto. Ma non è stato permesso loro di entrare. Uno degli avvocati è stato letteralmente spinto fuori. Quando è stato chiesto al personale se il corpo di Alexei fosse lì, non hanno risposto», ha spiegato sui social media la portavoce di Navalny, Kira Yarmysh. 

E la moglie dell’attivista, Yulia, ha postato un video sui social dove afferma senza mezzi termini: «Putin ha ucciso mio marito», spiegando che Navalny potrebbe essere stato avvelenato con un agente chimico nervino, il Novichok, e che i ritardi nella consegna della salma alla famiglia siano dovuti proprio alla necessità di attendere giorni per farne sparire le tracce e nascondere, dunque, la verità.

Una vicenda avvolta da molte ombre, che sta facendo mobilitare le istituzioni occidentali. «Dobbiamo lanciare un messaggio di sostegno all'opposizione russa, proporrò che il regime di sanzioni dell'Unione Europea sui diritti umani prenda il nome di Alexei Navalny, in modo che il suo nome sia ricordato per sempre», ha detto l'alto rappresentante Ue Josep Borrell.

(Unioneonline/l.f.)

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