L'ex europarlamentare del M5S Giulia Moi, in carica dal 2014 al 2019, doveva "poter conoscere con precisione gli elementi" sui quali il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani e l'Ufficio di presidenza del Parlamento avevano basato la decisione di sanzionarla per "molestia psicologica", quindi mobbing, su due assistenti parlamentari, togliendole per 12 giorni l'indennità di soggiorno. Di quel "diritto" però l'onorevole non aveva potuto godere in "violazione dei principi del rispetto della difesa". Quindi la sanzione "deve essere annullata".

È quanto stabilito ieri dal Tribunale europeo cui la 51enne ha fatto ricorso, con gli avvocati Pierandrea Setzu e Marco Pisano, dopo le sentenze del 2018 che ritenevano fondata la "richiesta di aiuto dei due assistenti. Per i giudici però chi viene sanzionato ha il «diritto fondamentale di essere ascoltato e accedere al fascicolo» per "garantire la propria difesa" prima della decisione.

Un "principio generale" che nel caso di Moi "è stato violato": l'europarlamentare non aveva avuto il fascicolo, le denunce e le dichiarazioni dei collaboratori. Quindi non aveva potuto difendersi e la sanzione va cancellata.

"Ho subito un'ingiustizia", il commento di Giulia Moi, "sono stata sanzionata ed espulsa per accuse false e infamanti. Ho rispettato il corso della giustizia, certa che alla fine la verità sarebbe emersa. Sono stata definita come una molestatrice e ne ho sofferto. Mi attendo scuse ufficiali dalle istituzioni e soprattutto del Movimento 5 Stelle per come ha trattato me e la mia reputazione. Ringrazio i miei avvocati Pisano e Setzu, che hanno sempre creduto in me e mi hanno sostenuto".

Andrea Manunza
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