Finora il cardinale Angelo Becciu, durante il processo in Vaticano relativo agli investimenti della Segreteria di Stato, non aveva voluto parlare della ex manager sarda Cecilia Marogna, trincerandosi dietro il “segreto pontificio”.

Papa Francesco lo ha in realtà dispensato dal rispetto di quell’obbligo ma Becciu aveva spiegato di averlo tirato in causa “non per la tutela della mia persona ma, vista la delicatezza della materiale, solo ed esclusivamente per quella del Santo Padre e della Sede Apostolica”.

A proposito del peculato in concorso di cui deve rispondere, l'ex sostituto per gli Affari generali originario di Pattada ha ricordato come gli venga contestato di aver agevolato Marogna “ad appropriarsi di somme di denaro che poi la stessa avrebbe destinato ad acquisti voluttuari”. Accusa che, respinta categoricamente, è stata anche etichettata come “completamente infondata”. Marogna, secondo la ricostruzione, “si propose per una collaborazione professionale con la Segreteria di Stato” in materia di intelligence e geopolitica. Negli incontri successivi sono poi aumentati “il credito fiduciario nei suoi confronti e l'apprezzamento in merito alle sue competenze”, anche grazie a “una serie di incontri ad alto livello istituzionale promossi proprio dalla signora Marogna”.

Becciu si è poi soffermato sul rapimento di suo Gloria Cecilia Novaes Goti, avvenuto in Mali il 7 febbraio 2017. La religiosa, francescana di Maria Immacolata, era di nazionalità colombiana. Il cardinale si era trovato “di fronte a un dilemma”: adoperarsi per tentare di salvare una vita umana “con tutti i rischi connessi, come l'esporre il Vaticano, qualora la notizia non fosse rimasta riservata, a un giudizio negativo da parte di organismi internazionali, come pure quello di mettere in pericolo la vita e l'incolumità di altri missionari, oppure la soluzione di lasciare che altri se ne occupassero”.

Prima ancora di rivolgersi al Papa, “parlai alla signora Marogna”, che “mi riferì di un'agenzia inglese di intelligence, Inkermann, con la quale, a suo dire, si sarebbe potuta interfacciare proficuamente attivandosi per tutte le operazioni necessarie alla liberazione di suor Gloria”. Quindi, ha proseguito Becciu, “Esposi al Santo Padre la questione. Egli rimase contento che ci si adoperasse per la liberazione della religiosa e intese immediatamente la necessità di non esporre il Vaticano ad una inutile, e anzi dannosa, pubblicità”. Quindi “mi diede l'autorizzazione a procedere - ha proseguito - e, alla mia domanda esplicita se avessi dovuto parlarne con il Comandante della Gendarmeria, mi rispose di no, invitandomi ad assumermi in prima persona la responsabilità dell'iniziativa e aggiungendo che la questione doveva rimanere riservata tra lui e me, proprio per evitare che trapelasse la notizia e si corressero i rischi sopra paventati”.

“Non ebbi difficoltà a servire il Santo Padre, come sempre, anche in questa occasione, fedelmente e scrupolosamente eseguendo la Sua volontà”, ha sottolineato ancora.

Mentre sulla somma preventivata dagli Inkermann – “circa un milione di euro, parte per le operazioni di creazione della rete di contatto e parte per la effettiva liberazione della religiosa” - ha detto che il Papa “approvò”, precisando come nella procedura per erogare le somme, “per acconti, richiesti di volta in volta per il tramite della signora Marogna”, “ogni passo è stato concordato con il Santo Padre”, compresi “i pagamenti alla signora Marogna”. Che poi questi ultimi, pari a 575mila euro, come ritengono gli inquirenti siano finiti in beni di lusso, è un'altra storia. 

Lo scorso 10 ottobre, la religiosa colombiana è stata rimessa in libertà, e a detta di Assimi Goita, presidente di transizione del Mali - ha ricordato lo stesso Becciu -, “la sua liberazione è frutto di quattro anni e otto mesi di sforzi combinati di plurimi servizi d'intelligence”.

LA REPLICA DI PELL – Il cardinale australiano George Pell, ex prefetto vaticano per l’Economia, ha diramato oggi una nota per rispondere alle dichiarazioni fatte ieri da Becciu: “Nel tribunale vaticano il cardinale Becciu ha fatto un'energica difesa del ruolo dei suoi irreprensibili sottoposti nelle finanze vaticane. Tuttavia la sua testimonianza era per certi versi incompleta”. “Non ha spiegato il rifiuto da parte della Segreteria di Stato del ruolo di supervisione, approvato dal Papa, affidato al nuovo Consiglio per l'Economia e alla nuova Segreteria per l'Economia - ha elencato Pell -. Non ha spiegato il suo ruolo nel licenziamento dei consulenti di Price WaterhouseCoopers e nelle dimissioni rassegnate dal revisore generale, Libero Milone; entrambi con il mandato di indagare sulle finanze della Segreteria di Stato”. E ancora: “La sua curiosa testimonianza su come la Segreteria di Stato spenda l'intero ammontare dell'Obolo di San Pietro ('Cosa mai restava quindi dell'Obolo? Niente!', in italiano, ndr) fa a pugni con la pubblicità ufficiale per il fondo, quello che i cattolici pensano e i rapporti annuali sulla finanza vaticana. Parlare dell'Apsa è irrilevante. L'Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica, ndr) non ha mai avuto un ruolo di supervisione con la Segreteria di Stato”. “Tuttavia - prosegue - il mio obiettivo principale è di commentare le dichiarazioni finali del cardinale Becciu sul pagamento di 2,3 milioni di dollari australiani a Neustar per il dominio internet '.catholic' il 4 settembre 2015. Il pagamento veniva dal Consiglio per le comunicazioni sociali o dalla Segreteria di Stato? Già l'inizio di questa dichiarazione non fa che approfondire il mistero. L'affermazione del cardinale Becciu nel tribunale vaticano è anche interessante, diversa dal messaggio che mi inviò il 17 dicembre 2020 nel quale mi diceva che la destinazione dei fondi della Segreteria di Stato all'Australia non era affare mio, ma era noto al Santo Padre. I dubbi, ovviamente, vengono sgombrati dai fatti, dall'evidenza, non dalle affermazioni. Purtroppo, non ho informazioni relative ai pagamenti a Neustar Australia nel 2015 oltre 150mila dollari statunitensi che il Consiglio per le comunicazioni sociali ha pagato come caparra. Non era mia abitudine firmare pagamenti della Segreteria di Stato”. “Il mio interesse si concentra su quattro pagamenti del valore di 2,3 milioni di dollari australiani fatti dalla Segreteria di Stato nel 2017 e nel 2018 a Neustar Australia, due dei quali di un valore di 1,236 milioni di dollari australiani autorizzati da monsignor Becciu il 17 maggio 2017 e il 6 giugno 2018 - scrive Pell -. Ovviamente, si tratta di pagamenti distinti da quello dell'11 settembre 2015 che io avrei autorizzato. Quale era lo scopo? Dove sono andati i soldi dopo Neustar? Vedremo”. “La verità - conclude - è figlia del tempo”.

(Unioneonline/s.s.)

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