Era il 10 ottobre del 1967, quando in Bolivia veniva scattata una foto che fece il giro del mondo e restò negli annali della storia.

Raffigurava un uomo disteso su una vasca di cemento e circondato da militari. Magro, con i folti capelli scuri scompigliati, la barba lunga, gli occhi spalancati.

Era il corpo di Ernesto Guevara, detto "il Che" per quella sua abitudine tipicamente argentina di mettere "Che" davanti ai nomi, che il giorno prima era stato fucilato nel remoto villaggio boliviano di Villagrande. Aveva 39 anni.

Il lider maximo cubano, Fidel Castro, ricorderà quel momento come il secondo più brutto della sua vita, dopo la morte della madre.

LA RIVOLUZIONE CUBANA - Ernesto Guevara, medico argentino, conosce Castro - che all'epoca aveva lasciato la carriera di avvocato per tentare la strada della Revolucion - in Messico: un incontro che cambierà la vita di entrambi. Stando ai biografi i due, in una specie di colpo di fulmine, parlano ininterrottamente per dieci ore consecutive e scoprono di avere lo stesso fine politico: la lotta armata, per consegnare il potere nelle mani del popolo.

La missione comincia a Cuba, in cui imperversava dagli anni Quaranta la dittatura di Fulgencio Batista. La spedizione dura due anni: il 31 dicembre 1958 il Che, dopo 47 giorni e 554 chilometri a piedi, sconfigge gli uomini di Batista a Santa Clara mentre le truppe di Fidel conquistano Santiago nella parte orientale dell'Isola.

Due giorni dopo i rivoluzionari marciano per le strade de L'Avana.

L'ESPORTAZIONE - Castro si pone a capo di Cuba, proponendo a Guevara diversi ruoli di potere. Ma governare non è nelle corde del Che, che sente che la sua missione è un'altra: esportare la rivoluzione cubana in America Latina e nel mondo.

Dopo una fallita spedizione in Congo nel 1965, lascia l'isola caraibica nel 1966, per iniziare una nuova rivoluzione nella giungla della Bolivia orientale nella speranza di creare "due, tre, molti Vietnam".

Poco dopo l'arrivo con 47 uomini nell'arida regione di Nancahuazú, il gruppo guidato dal guerrigliero perde però i contatti con Cuba, i viveri iniziano a scarseggiare. Catturato e ferito dai soldati boliviani, viene ucciso in una scuola: "Non sparate, sono il Che. Valgo più vivo, che morto", sarebbe l'ultima frase detta ai militari.

L'ICONA - A cinquant'anni dalla sua morte, il Comandante è stato mito, riferimento e oggetto di culto per generazioni di giovani, simbolo di ribellione e icona pop stampata sugli oggetti di quella rivoluzione capitalista che combatteva.

Il mausoleo di Santa Clara, a Cuba, non ha mai smesso di essere una meta per devoti e turisti, che a migliaia ogni anno sfilano in un "religioso" pellegrinaggio per rendere omaggio ai resti lì dal 1997, quando furono recuperati da una tomba "anonima" in Bolivia.

L'immagine del guerrigliero con il celebre sigaro in bocca campeggia ancora nell''immaginario collettivo, mentre vari governi nell'America del Sud (tra Argentina, Brasile, Perù e Paraguay) virano a destra, in Venezuela la democrazia di Maduro è incrinata, le Farc in Colombia rendono le armi.

E Cuba si avvicina all'eterno nemico: gli Stati Uniti.

(Redazione Online/D)

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