Shakila Zareen aveva solo 17 anni quando nel suo paese natale, in Afghanistan, le fu imposto di sposare un uomo di 14 anni più grande di lei. Un marito fondamentalista, amico dei capi Taliban, che la picchiava, torturava e stuprava finché la ragazza non è fuggita, tornando a casa dalla sua famiglia.

È lì che l'uomo l'ha raggiunta e le ha sparato in pieno volto, strappandole via un occhio, una guancia e metà della mandibola.

Per Shakila è iniziato un calvario: decine le operazioni cui è stata sottoposta a Kabul e New Delhi, dove è scappata per sfuggire alle minacce del marito, che continuava a dirle che avrebbe "finito il lavoro", uccidendo lei e la famiglia.

Terrorizzata all'idea di tornare in Afghanistan, Shakila ha chiesto lo status di rifugiata alle Nazioni Unite, ottenuto. Nel 2016 la sua richiesta di asilo è stata presa in carico negli Stati Uniti e finalmente ha creduto che potesse avere inizio la sua vita lontana dalla violenza.

Ma un anno dopo, il Servizio cittadinanza e immigrazione americano ha fatto sapere che Shakila non aveva ottenuto l'asilo "per motivi discrezionali legati a problemi di sicurezza": a bloccarla le leggi volute dall'amministrazione Trump, dal momento che Shakila è afgana e moglie di un Taliban.

Una doccia fredda fino alla buona notizia: ad accettare la sua richiesta di asilo è stato il Canada. E così, a gennaio, Shakila è arrivata a Vancouver con la mamma e una delle sorelle.

"Ho sempre combattuto per me stessa - ha detto in un'intervista al Guardian - e anche adesso sono ancora più forte. Non resterò in silenzio".

(Unioneonline/D)

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