Dopo oltre 3 ore di Camera di Consiglio la Corte d'Assise di Trieste ha assolto Alejandro Meran, l’uomo che ha aperto il fuoco alla Questura di Trieste uccidendo i due poliziotti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta lo scorso 4 ottobre 2019, perché non imputabile per infermità mentale. I giudici hanno applicato una misura di sicurezza detentiva del ricovero in Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) per minimo 30 anni. Una sentenza che è stata definita dai parenti delle vittime una “vergogna”.

L’uomo è attualmente in carcere a Verona, reparto infermieristica, e la sentenza non significa che potrà essere scarcerato: il Procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo, che ha seguito il processo in prima persona (pm è Federica Riolino) si è espresso chiaramente su questo aspetto indicando che "la scarcerazione di Meran non avverrà". Si chiederà "al Ministero che designi la Rems adeguata" e nel frattempo "chiederemo al direttore del carcere Verona Montorio di trattenerlo".

"C'è un disagio oggettivo nel dire di chiudere il processo in questo modo - prosegue De Nicolo - viviamo a contatto con la Polizia, giorno per giorno li sproniamo, li strigliamo, c'è una simbiosi giornaliera. Però le leggi del processo sono queste", la scienza "ci dice questo". E' “una tragedia, ma la conclusione della non imputabilità è questa". "La decisione - così il procuratore capo, Antonio De Nicolo - è il risultato di ciò che gli elementi processuali portavano a ritenere. Non è che sono sono soddisfattissimo, perché mi rendo conto che questa è una tragedia che termina lasciando l'amaro in bocca su tanti, ma questa è la conclusione necessitata dalla norme che abbiamo".

L’ASSOLUZIONE – A chiedere l'assoluzione dell'imputato, "e non a cuor leggero", era stata per prima la pm Federica Riolino, al termine di quasi un'ora di requisitoria. Alla base della richiesta, tra le altre cose, gli esiti della perizia psichiatrica richiesta dalla Corte, secondo la quale "all'epoca dei fatti Meran era già schizofrenico": esclusa "totalmente la sua capacità di volere".

Nell'arringa finale la difesa, rappresentata dagli avvocati Paolo e Alice Bevilacqua, aveva insistito proprio sulla "totale infermità": "Il nostro grido va alle istituzioni" e alla "fallacia" registrata nella gestione della malattia, aveva detto Paolo Bevilacqua. Dalle parti civili era arrivata, univoca, invece la richiesta di condanna. "Proporremo immediatamente una istanza al procuratore generale presso la corte d'appello" affinché possa procedere "lui ad appellare la sentenza di assoluzione, poiché è ovvio che la Procura che ha chiesto l'assoluzione non proporrà sicuramente appello alla sentenza", hanno sottolineato Valter Biscotti e Ilaria Pignattini lasciando l'aula.

Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, i due poliziotti rimasti uccisi (Ansa)
Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, i due poliziotti rimasti uccisi (Ansa)
Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, i due poliziotti rimasti uccisi (Ansa)

IL COMMENTO – Dura la critica di Peppe Dell'Acqua, psichiatra al fianco di Basaglia durante l'apertura del manicomio di Trieste, all'epoca: "È una sentenza che si poteva emettere nel 1935, a ridosso del codice penale Rocco, figlio diretto del positivismo scientifico lombrosiano". Dell'Acqua dissente dall'idea che si possa "ridurre a una parola l'intera vita di una persona perché l'ha detto un perito. È peggio dell'ergastolo". Questo, nonostante il fatto che la perizia in oggetto - quella della Corte, che ha dichiarato Meran infermo di mente - sia "coscienziosissima". L'idea che lo psichiatra aveva espresso due giorni fa, era che "anche Meran avrebbe potuto fare un percorso di riabilitazione in carcere, dove avrebbero gli strumenti per gestirlo". Purché, "l'impegno fosse stato congruo". Questo se fosse stata riconosciuta la seminfermità mentale, dunque il carcere.

"Un processo vergognoso, un verdetto vergognoso. Mi vergogno di essere italiano", le poche parole del padre di Demenego, Fabio. 

LA SPARATORIA - E' il pomeriggio del 4 ottobre 2019 quando Meran viene accompagnato da alcuni agenti in Questura per il furto di un motorino. Con lui, che soffre di disturbi psichici, il fratello e la madre. Alejandro chiede di andare in bagno: quando esce riesce a impossessarsi della pistola di Rotta e lo ferisce a morte.

Uditi gli spari Demenego accorre e a sua volta viene colpito e ucciso. Accade tutto in pochi minuti. Alejandro tenta di imboccare le scale ai piani superiori sparando ad alcuni agenti. Poi desiste e cerca di guadagnare l'uscita attraversando l'atrio, impugnando entrambe le pistole e sparando contro gli agenti del corpo di guardia. Alla fine viene fermato.

(Unioneonline/D)

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