Lavorava 12 mesi l'anno per una società di vigilanza, ma nonostante l'applicazione del contratto nazionale di settore, percepiva uno stipendio inferiore al reddito di cittadinanza, intorno ai 640 netti.

La paga oraria effettiva della signora, 3,96 euro all'ora, la faceva vivere addirittura sotto la soglia di povertà, stimata dall'Istat a 840 euro. Quindi, ha stabilito il giudice del lavoro di Milano, una paga anti-Costituzionale. Perché l'articolo 36 della Carta sancisce che «il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».

Sul banco degli imputati, nella causa in cui la donna è stata sostenuta dagli Adl Cobas, è la Civis, importante società di vigilanza privata con sede legale a Milano. La dipendente, impiegata nel servizio di portierato in un magazzino della grande distribuzione, vive invece a Padova.

Lì sarebbero pendenti un'altra ventina di cause simili, spiega Mauto Zanotto, di Adl Cobas. «Non solo in aziende private, come Civis - afferma - ma anche in settori del pubblico impiego, Esu, Ospedali, Agenzia delle Entrate».

Con la sentenza in favore della lavoratrice, il giudice Tullio Perillo ha condannato Civis a pagare un risarcimento di 372 euro lordi in più per ogni mese (oltre 6.700 in totale), ovvero il differenziale tra la paga versata e quella prevista per un servizio di portierato.

«È una vittoria storica — esulta Zanotto di Adl Cobas — che apre la strada anche ad altri lavoratori nella stessa situazione in Italia, circa 100mila. E soprattutto dice ai sindacati che avevano siglato questo collettivo, nel caso specifico Cgil e Cis, che quei contratti da fame non vanno firmati».

Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte: «Cifre come questa non permettono di vivere una vita dignitosa: sono paghe da fame, che violano quanto scritto nella nostra Costituzione all'art. 36». 

(Unioneonline/L)

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