Moby Prince, in commissione i famigliari delle vittime: «Troppe domande senza risposte»
Continua la caccia alla verità sul disastro del 10 aprile 1991. Oggi l’incontro presieduto dal deputato sardo Pietro PittalisI famigliari delle vittime del Moby Prince sono stati ascoltati oggi dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro del 10 aprile 1991. L’amarezza delle associazioni: «vorremmo che finalmente arrivino le risposte che mancano». La terza commissione d’inchiesta è presieduta dal deputato sardo di Forza Italia Pietro Pittalis. Luchino Chessa e Nicola Rosetti, presidenti dell’associazione 10 aprile e dell’associazione 140, ritornano in Commissione d’inchiesta, la terza, per chiedere giustizia.
A nome dei famigliari delle 140 vittime chiedono di ricostruire una volta per tutte la ‘’verità storica’’ della tragedia. Che passa da interrogativi rimasti aperti, depistaggi e dal sospetto che si «doveva coprire qualcosa».
Chessa, figlio del comandante del Moby, riparte dai soccorsi. «Perché sono stati dirottati verso la petroliera Agip Abruzzo e nessuno ha pensato al Moby Prince? Perché sono passati 90 minuti dall’identificazione del traghetto? Perché il comando della Capitaneria non ha salvato le persone ancora vive, e non morte entro 20-30 minuti, come sostenuto dalla perizia del primo processo?». Per le associazioni questa è l’ultima occasione per completare il lavoro fatto dal Parlamento. Secondo Chessa il primo punto è «chiarire perché si è subito parlato di errore umano e perché non si sono accertate le attività della Agip Abruzzo mentre era nella rada di Livorno».
Le fasi della tragica collisione tra il traghetto diretto a Olbia e la petroliera sono ancora in larga parte da ricostruire. Per Chessa e Rosetti resta il mistero del natante che ha ostacolato la rotta del Moby Prince: perché era in prossimità della petroliera e per cosa? A febbraio le associazioni avevano sollecitato al presidente della Camera Lorenzo Fontana l’avvio dei lavori della terza Commissione, votata all’unanimità a ottobre. I lavori delle due precedenti avevano aperto – per Chessa e Rosetti – «importanti squarci di verità» sulla tragedia. Ora manca l’ultimo passo: «Non vogliamo lasciare questa battaglia – dicono i presidenti delle associazioni – ai nostri figli e nipoti».