"Hanno voluto ricostruire questa tesi della nebbia come causa principale della collisione, assieme alla velocità del traghetto e agli errori del comandante, ma la Commissione parlamentare d'inchiesta ha ribaltato tutto e ora vogliamo giustizia".

A parlare, alla trasmissione di Radio Cusano Campus "L'Italia d'è desta", è Luchino Chessa, figlio di Ugo, il comandante morto nel disastro della Moby Prince.

L'uomo da quasi trent'anni lotta per ottenere la verità: "La tesi della nebbia come causa principale è stata smontata, così come la velocità del traghetto e la superficialità del comandante, così come la morte repentina di tutti i passeggeri e l'equipaggio nell'arco di 30 minuti. È stato persino detto che mio padre fosse distratto dalla partita di Coppa delle Coppe tra Juve e Barcellona, una cosa allucinante. Mio padre era molto scrupoloso, mai avrebbe fatto una cosa del genere".

Hanno voluto costruire un disegno, secondo Chessa, che è stato smontato pezzo per pezzo dalla commissione d'inchiesta. E oggi c'è ancora tempo per ottenere la verità, ne è convinto il figlio del comandante della nave.

"Abbiamo citato in giudizio i ministeri di Difesa e Trasporti perché avrebbero dovuto occuparsi della sicurezza del porto di Livorno e non l'hanno fatto. Nessuno ha controllato, nessuno poi ha soccorso Moby Prince dopo la collisione con la petroliera", continua.

"C'è un filo che lega tutto e che è ancora da scoprire", sostiene Luchino Chessa. "Si poteva lasciare tutto così, ma come cittadini e figli del comandante, io, mio fratello e anche gli altri familiari delle vittime abbiamo deciso di andare avanti e continuare a cercare la verità e avere giustizia. Sicuramente sono subentrate una serie di azioni manomissive e omissive fin da prima, hanno voluto costruire quel disegno: nebbia, morte repentina e colpa del comandante".

Nella tragedia morirono 140 persone, 30 sardi.

(Unioneonline/L)
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