A ventotto anni dalla sera in cui il traghetto Moby Prince entrava in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, tragedia in cui persero la vita 140 persone (di cui 26 sardi), una causa civile si affianca a quella penale della Procura di Livorno.

Un gruppo di familiari delle vittime ha affidato a un pool di avvocati il compito di promuovere un'azione legale per accertare le responsabilità dello Stato nel disastro avvenuto a due miglia e mezzo dal porto di Livorno.

Il punto di partenza, oltre alle conclusioni della commissione d'inchiesta del Senato, è simile al caso di Ustica e cioè la presunta incapacità dello Stato di tutelare la sicurezza dei propri cittadini "soprattutto in relazione al traffico che si verifica all'interno dei porti".

Saranno citati in giudizio i ministeri delle Infrastrutture e dei trasporti, della Difesa e la presidenza del Consiglio.

La citazione, spiega nella nota il pool di avvocati, "parte da alcuni punti fermi fissati per la prima volta proprio dalla commissione parlamentare d'inchiesta, quali la posizione della petroliera in area vietata all'ancoraggio e la sopravvivenza a bordo del traghetto. Sosterremo la responsabilità del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti per non avere garantito la sicurezza della navigazione nella rada del porto di Livorno, creando e/o non rimuovendo la situazione di pericolo, rivelatasi decisiva nella collisione tra la petroliera Agip Abruzzo e il traghetto Moby Prince, nonché il colpevole e gravissimo ritardo con il quale venne individuato il traghetto e vennero approntati allo stesso i soccorsi".

"In altre parole, al di là della ricostruzione dell'evento, si contesta che se l'amministrazione avesse adempiuto ai propri obblighi, l'evento non si sarebbe verificato o quantomeno avrebbe avuto conseguenze meno gravi considerando che nessun soccorso fu portato alla nave passeggeri e che sono emerse prove evidenti di una prolungata sopravvivenza a bordo".

I legali concludono affermando che il tempo trascorso in attesa di una verità giudiziaria "non potrà essere considerato preclusivo della possibilità di esercitare i diritti dei familiari delle vittime, tenuto conto che solo con la pubblicazione della relazione della commissione i danneggiati sono stati messi nella condizione di fare valere le loro pretese".

(Unioneonline/D)
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