Ogni volta che Alessia esce di casa per andare da suo figlio Levon, sei anni, non sa se riuscirà ad arrivarci, per lo meno senza una multa.

Sì perché Levon, il bambino che ha avuto con la sua ex compagna a Roma, in affido condiviso, non risulta suo figlio, per mancanza di un riconoscimento all'anagrafe e dell'adozione.

"Quando salgo in macchina per andare a prendere mio figlio - racconta Alessia - ho già paura e mi tremano le mani. Finora solo una volta mi hanno fermata per controlli, lo stavo riportando a casa mia. Mi hanno chiesto spiegazioni, ho detto che non ho nemmeno i documenti che dimostrano che è mio figlio. Per fortuna ho trovato persone comprensive".

Dal 4 maggio potrebbe non cambiare molto: "Mio figlio non è un congiunto e io sono una perfetta estranea per lui", taglia corto. "Affetto stabile", quello sì, ma chi le garantisce che sia d'accordo chi la ferma? "Ogni volta mi sento appesa alla buona volontà di chi incontro - ammette Alessia - e ora con un carico di ansia che si aggiunge a quello della pandemia".

Levon, dice, sta due giorni da lei e due con l'altra madre, nei weekend si alternano. Lei e la compagna si sono lasciate tre anni fa, e quando avrebbero potuto non hanno avviato la pratica per la cosiddetta step child adoption: "Se dovessimo chiederlo ora, saremmo la prima coppia separata a farlo e quindi sarebbe una causa pilota".

In più, il Campidoglio non consente di ottenere il riconoscimento anagrafico: "Alcuni sindaci a partire dalla Appendino a Torino, e poi tanti altri, hanno autorizzato la trascrizione dei figli nati all'estero nel caso di due padri o il nome della seconda madre nell'atto di nascita del figlio o subito dopo. Roma è l'unica grande città in Italia che si è rifiutata di farlo", denuncia.

"So bene che mio figlio è in un limbo assoluto di diritti e questo non per colpa delle forze dell'ordine - conclude -. La responsabilità è del Parlamento, è solo politica".

(Unioneonline/D)
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