"In Europa non c'è stata una risposta unitaria, fin dall'inizio di questa crisi. Sono arrivati i medici cubani e finalmente alcuni ospedali tedeschi hanno accolto pazienti italiani, però ricordiamoci che c'è stata una risposta lenta, e questo ha amareggiato non poco".

Lo ha affermato Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità, intervenendo a 24Mattino su Radio24.

"In una regione come la Lombardia - prosegue Rezza - dove l'incidenza è molto alta, qualsiasi febbre probabilmente è attribuibile al Sars-Cov-2, perché il rischio è molto alto".

E alla domanda se occorra fare molti tamponi, lo studioso non ha dubbi: "Vanno fatti il prima possibile a persone sintomatiche, perché bisogna fare diagnosi, individuare focolai e, se c'è bisogno, curarle. Se c'è disponibilità i tamponi possono essere fatti anche a persone con pochissimi sintomi o a contatto con pazienti. Ma qui subentra un problema di fattibilità: i reagenti non sono infiniti".

"Una regione come la Lombardia - chiarisce ancora Rezza - non potrà mai fare i tamponi ai contatti. Una regione con meno impegno potrà farlo: in Veneto l'hanno fatto e hanno tenuto la situazione sotto controllo a livello territoriale, ma non si trovavano in mano quella bomba biologica come a Lodi e a Bergamo".

"Noi abbiamo scelto di fare distanziamento sociale in Italia, ma continua un po' di trasmissione intra-familiare e si registrano i contagi avvenuti prima" delle misure di chiusura. Ecco perché, ribadisce Rezza, "occorre aspettare fine mese per vedere qualche risultato". Quanto alla Germania, "lì fanno tamponi mirati, e hanno una rete ospedaliera molto forte. Ma hanno avuto anche un paio di vantaggi: l'epidemia è arrivata dopo - tranne un piccolo focolaio poi controllato - e ha colpito soprattutto i giovani, e questo spiega il basso tasso di ospedalizzazione. Vedremo come andrà".

(Unioneonline/v.l.)
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