Diciottesima edizione per il “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes, presentato oggi a Roma.

Come di consueto, sono stati molti gli autori e le autrici che, dall’Italia e dall’estero, hanno lavorato a diversi saggi per arrivare alla raccolta di analisi socio-statistiche dalle fonti ufficiali più accreditate sulla mobilità dall’Italia.

Quest’anno il tema è quello del turismo delle radici, ossia quel tipo di turismo per cui gli emigrati e i loro discendenti tornano a visitare e a vivere i luoghi dei loro antenati. Nel documento compaiono una parte iniziale con le varie statistiche e poi una parte monografica con capitoli per ogni regione. Per la Sardegna, quello redatto da Marisa Fois, ricercatrice dell’Università di Ginevra originaria di Busachi, che si è concentrata sull’area del Barigadu.

«Nell’Isola – spiega - Oristano è la provincia che, forse più delle altre, soffre di un malessere demografico, uno studio del 2013 sull’Isola già evidenziava che la metà dei Comuni è a rischio scomparsa e un quarto di questi si trova proprio nell’Oristanese. Quattro in particolare: Ardauli, Nughedu Santa Vittoria, Sorradile e Ula Tirso. Altri tre registrano uno spopolamento con numeri importanti: Busachi, Fordongianus e Neoneli».

Ma Fois va oltre la «durezza dei dati» e racconta di chi lavora per invertire il trend della fuga e, al contrario, chiede di tornare a investire nel territorio partendo dai luoghi in cui è in precedenza emigrato: «Soprattutto nord Italia, Roma, e all’estero in Germania, Francia, Belgio e Svizzera».

Quali sono le storie inserite nel “Rapporto Italiani nel Mondo”?

«Una è quella del sindaco di Neoneli, Salvatore Cau, e del suo tentativo di lasciare un segno, di arricchire il paese da un punto di vista non solo economico, con bandi e altri incentivi, ma anche culturale. “L’impoverimento culturale è peggiore di quello demografico” è stata una delle sue frasi che più mi ha colpito».

In cosa consiste questo impegno?

«Nel sollecitare quella realtà con eventi, festival, ogni modo per fare rete anche con gli emigrati. Ad esempio aveva già inserito il concetto del turismo delle radici nel suo programma amministrativo 2020».

In concreto?

«Fra i progetti uno è particolarmente interessante: ricostruire gli alberi genealogici degli abitanti così da coinvolgere le diverse generazioni prendendo spunto dall’archivio comunale, che sarà trasferito al centro Casa Cultura. È stato inaugurato nel 2022 in un palazzo storico e ospita la biblioteca e varie manifestazioni. Vorrebbero renderlo un presidio che si inserisca nel contesto di vari festival come Licanìas, il cui tema sarà per la prossima edizione proprio la libertà di partire e di tornare. Quest’anno invece c’è stato un incontro con giovani imprenditori che raccontavano la loro esperienza: chi è tornato in paese e ha deciso di investire in loco».

Obiettivo fattibile?

«La disoccupazione in questi territori raggiunge tassi elevati, ma bisogna avere lungimiranza. C’è un sistema economico molto legato alla terra e chi si sposta è difficile che rientri, a meno che non trovi il “lavoro dei suoi sogni”. Però ci sono anche aziende e investimenti che funzionano».

Qualche esempio?

«Lo stesso sindaco e due suoi amici hanno fondato una società agricola e una cantina, attualmente producono vino, hanno recuperato dei vecchi vigneti e poi le vigne prese in affitto dagli anziani. E così è nata una seconda cantina e una terza è sulla buona strada. Per Cau infatti si può anche partire dalla terra, i paesi in questo modo potranno rimanere in vita, e sollecitare il rientro di qualcuno dei loro emigrati».

Altre esperienze inserite nel focus Sardegna?

«Quella di Aldo Uselli, 39 anni di Ula Tirso, che si occupa di comunicazione e racconta brand di aziende che operano nel settore della ristorazione tra cui le cantine di Neoneli. Dopo una formazione internazionale (Estonia, Brasile, Stati Uniti), si è reso conto che avrebbe potuto trovare un impiego con compensi impossibili da immaginare in Italia ma non voleva stare per sempre all’estero. Dopo essere tornato a Cagliari, è partito per Milano, si è laureato e gli si sono aperte prospettive sempre fuori Sardegna. Però ha “subìto” il richiamo del rientro. In molti glielo sconsigliavano: “Perché vai via da Milano? – gli dicevano – È una città che offre tutto”».

E lui?

«"Ci sarà anche tutto a Milano – rispondeva – ma a me bastano poche cose per essere felice”».

Altre storie?

«Una che arriva da Bidonì e vede come protagonista Marcello Contu, 37enne originario di Cabras con una formazione all’estero e che da tre anni vive a Sorradile. Ha creato un laboratorio di produzione che credo sia unico nel suo genere, probabilmente il primo in Sardegna. Si chiama “Veghu”, produce e vende formaggi al 100% vegetali. Marcello ha scelto di tornare nell’Isola dopo un’esperienza in Australia. La sua azienda era prima una start up, ora ha altri due soci: è una sfida, un sogno. Anche perché fanno corsi di formazione, vendono kit per produrre formaggi vegetali in versione casalinga, insomma vogliono condividere la loro “missione”, e la scelta particolare è stata quella di operare in una zona interna e rurale. Un po’ come altri due ex emigrati».

Chi sono?

«Matteo e Michele, uno originario della provincia del Sud Sardegna e l’altro di Cagliari. Entrambi hanno trascorso una quindicina d’anni a Londra poi, complice la Brexit, hanno deciso di tornare in Sardegna. Una scelta sicuramente ponderata ma che ha sconvolto le loro vite: in un paesino dell’entroterra hanno acquistato una proprietà, si chiamerà “Casa M” e vuole offrire storia, arte, turismo esperienziale, creare reti di persone e un certo sviluppo sostenibile ad economia circolare, mettendo così in pratica le loro esperienze all’estero. Vorrebbero fare da tramite, anche grazie all’inglese che parlano molto bene, fra gli stranieri e l’Isola. Si inseriscono alla perfezione nel “fil rouge” con cui inizio e chiudo il mio saggio perché tessono rapporti e “creano rete”. Fanno anche riferimento all’importanza della memoria richiamandosi all’opera di Maria Lai, il cui motto era “essere è tessere”. Ha rivisto strumenti tipici della vita femminile, come i telai ma non solo, e li ha rivisitati per raccontarli in modo diverso. Anche lei era rientrata in Sardegna spinta dalla ricerca del passato come chiave per leggere il futuro».

Siamo capaci o no di “capitalizzare” le bellezze dell’Isola?

«Si potrebbe fare molto di più soprattutto per le aree interne, i piccoli Comuni, i territori “spezzati”, luoghi di partenza che spesso non sono in grado di far accendere i riflettori ma in realtà sono ricchi di storia e di cultura, di possibilità di fare».

Qualche esempio?

«Penso alla diga e al lago Omodeo, che potrebbe essere sfruttato non dico come un lago svizzero ma con un turismo più “aggressivo” e interessante. Purtroppo sono pochi gli agriturismo che offrono visite. Ecco perché parlo di aree dimenticate o che si fanno dimenticare».

Perché tutto questo?

«Le risposte sono molte: mancano i finanziamenti, la voglia, l’entusiasmo, le energie fresche che magari se ne vanno. La mia ovviamente non è una critica, ma anzi va letta nel senso contrario. Uno spunto di riflessione perché le potenzialità ci sono tutte. Il turismo delle radici potrebbe essere una buona opportunità per tutta la Sardegna, fino a Baradili, il suo paese meno popolato».

© Riproduzione riservata