Ha portato gli investigatori a quello che è stato ribattezzato come il terzo covo di Matteo Messina Denaro, la casa dove il boss ha vissuto fino ai primi di giugno, al civico 260 di via San Giovanni, a Campobello di Mazara.

Gianni Jihed, 33 anni, origini tunisine ma nato nel paese in cui si rifugiava il padrino, titolare della ditta di traslochi “Casa Nuova”, ha parlato a volto scoperto al Tg1: è stato lui ad occuparsi del trasloco del boss.

«Sono stato contattato con messaggi audio whatsapp», ha detto, e ora tutto torna. «La casa, il frigorifero, le calamite», tutto materiale finito nelle mani degli inquirenti.

L’uomo, che ha una moglie e tre figli piccoli, ha parlato anche al Corriere. Venne contattato direttamente da Messina Denaro, alias Andrea Bonafede, per spostare i suoi mobili dal covo di via San Giovanni 260 a quello in vicolo San Vito.

Un’esperienza che oggi definisce inquietante: «Ora sì che mi ricordo la telefonata di Matteo Messina Denaro dopo tutto il casino che è scoppiato. Lui non fece nomi quando si presentò, aveva una voce molto rilassata, disse che aveva bisogno di un trasloco a Campobello e mi mandò le foto dei mobili su Whatsapp con l’indirizzo di via San Giovanni 260. Nessun mobile di lusso, un letto, una lavatrice, il frigo con il famoso magnete ‘Il padrino sono io’ e due armadi completamente vuoti. Roba economica tanto che gli feci un prezzo basso. Cinquecento euro, pagò in contanti alla consegna, mi disse che per la fattura mi avrebbe mandato poi i documenti e il codice fiscale che in quel momento non aveva con sé. Poi non me li ha più mandati. Su Whatsapp io lo registrai semplicemente come Preventivo Campobello».

Prese appuntamento per la mattina del 4 giugno alle 7.30, non andò di persona: «Mandai due miei dipendenti e altri due li chiesi in prestito a un’altra ditta, tutti trentenni, non l'hanno riconosciuto».

Quella mattina, ricorda il traslocatore, «alle 7.10 gli mandai un whatsapp per avvisarlo che saremmo arrivati con una ventina di minuti di ritardo. Mi rispose con un vocale che ancora conservo e a risentirlo oggi mi fa accapponare la pelle. Il suo tono era completamente cambiato, la sua voce molto infastidita. Disse: ‘L’importante è che non tardate ancora, vi stiamo aspettando fuori».

Usò il plurale, ma quando i dipendenti di Jihed arrivano lui era solo: «Mohamed, un ragazzo tunisino che lavorava per me, mi disse che una volta entrati in casa Messina Denaro tornò subito affabile. Fece i complimenti ai ragazzi, offrì loro acqua e caffè. Gli armadi sul camion erano vuoti, non c’erano vestiti né carte nei cassetti, anche il poster di Joker il mio operaio l’ha visto già nella casa nuova, pronto da appendere. Alle sue cose deve averci pensato direttamente lui».

(Unioneonline/L)

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