«Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia». Alla fine del suo intervento alla Camera, in una mattinata piuttosto tesa, Giorgia Meloni legge alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene, ne prende le distanze estrapolando citazioni decontestualizzate come “la rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”. E nell'Aula si scatena l'inferno. 

Ma quando fu redatto il Manifesto di Ventotene? Gli antifascisti Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi lo scrissero nel 1941 durante il loro confino a Ventotene, isola situata nel mar Tirreno, al largo delle coste laziali. Altri confinati antifascisti sull'isola contribuirono alle discussioni che portarono alla definizione del testo, un documento politico di forte impianto federalista e socialista diretto in primo luogo contro gli Stati nazionali.

All'epoca della stesura del testo erano confinate sull'isola circa 800 persone, 500 classificate come comunisti, 200 come anarchici e i restanti prevalentemente giellini e socialisti. Originariamente articolato in quattro capitoli, il Manifesto fu diffuso clandestinamente.

Nel 1944, poco prima di essere ucciso dalla milizia fascista, l’ebreo socialista Eugenio Colorni ne curò la redazione in tre capitoli: il primo (La crisi della civiltà moderna) e il secondo (Compiti del dopoguerra. L'unità europea) interamente elaborati da Spinelli, come anche la seconda parte del terzo (Compiti del dopoguerra. La riforma della società), mentre la prima parte di quest'ultimo capitolo fu messa a punto da Rossi.

Gli estensori del Manifesto sostenevano che fosse necessario creare una forza politica esterna ai partiti tradizionali, inevitabilmente legati alla lotta politica nazionale, e quindi incapaci di rispondere efficacemente alle sfide della crescente internazionalizzazione. Era necessario cioè un movimento che sapesse mobilitare tutte le forze popolari attive nei vari paesi al fine di far nascere uno Stato federale, con una propria forza armata e con organi e mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando ai singoli stati l'autonomia di politica interna. Questa forza politica nacque poco tempo dopo, nell'agosto del 1943: il Movimento Federalista Europeo, di cui il Manifesto rappresenta soltanto una prima espressione, poi ridiscussa e corretta dai suoi stessi autori, tra cui anche Spinelli. Secondo gli estensori, con l'avvento dell'era totalitaria lo sviluppo della civiltà moderna aveva subito un arresto. Un'Europa libera e unita, invece, avrebbe rappresentato inevitabilmente la premessa per il potenziamento del progetto comune.

(Unioneonline)

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