La globalizzazione ci ha cambiato: abitudini, costumi, certezze non sono più quelli di prima. Sono emerse tante nuove opportunità ma anche nuove insidie: flussi migratori incontrollati, crisi finanziarie planetarie, pandemie, attacchi informatici...

Anche la politica si deve adeguare, ripensare. Così le sinistre hanno smarrito il proprio elettorato, arricchitosi com'è di tanti nuovi poveri, specie stranieri, difficili da capire e rappresentare. Le destre sono alle prese con l'ordine pubblico internazionale, non più solo con quello interno, con la rarefazione dello Stato-nazione, con la UE. Nessuno sa come difendere i diritti conquistati negli anni, né come mantenere il welfare senza discriminazioni.

Si riesumano vecchi stendardi: nazionalismi, sovranismi, la politica dell'uomo forte, per di più nell'era di facebook, dove impazzano gli slogan e le promesse salvifiche, utili ad illudere e a semplificare la complessità. Ragionare infatti fa fatica. Meglio semplificare.

Ma la globalizzazione è anche un alibi, per giustificare proprie manchevolezze, errori, ritardi. Come lo sono state molte guerre, vere o presunte (per le vittime purtroppo sempre vere) di oggi e di ieri. Un po' come guardare attraverso il vetro opaco della finestra, di notte, e cercare di scorgere il ladro. Che invece è dentro casa.

C'è sempre stato e abbiamo fatto finta, per anni, di non vederlo. Così un Paese che non cura da decenni il suo territorio, le sue infrastrutture - che quindi crollano - si riscopre timoroso dei cambiamenti climatici globali; che spende, spande e si indebita fino al collo diviene ansioso per le crisi finanziarie internazionali; che punisce chi paga le tasse e condona chi non le paga, punta il dito contro l’evasione fiscale internazionale. Un Paese nel quale chiunque raccomanda chiunque ovunque, si lamenta per la fuga dei cervelli; che abbandona la giustizia nelle mani delle corporazioni si risveglia preoccupato per la crisi di legalità. E il migrante (comprese le imprese emigranti), la Troika, il riscaldamento terrestre divengono improvvisamente i nemici pubblici, responsabili del complotto che affama il Belpaese.

La verità è che solo nell’oceano globale ti accorgi su che barca navighi; se è in grado di reggere il mare oppure no. Ed è questo la globalizzazione per l’Italia: lo specchio impietoso dei suoi mali endemici, delle sue finzioni e delle sue ipocrisie. Lo sa bene la politica che ha sistematicamente affossato lo Stato, riempiendo i ruoli pubblici di raccomandati, stabilizzati pre-elettorali, alimentando la spesa pubblica clientelare e parassitaria, lottizzando le posizioni di responsabilità e producendo diritti col ciclostile.

Lo sa bene perché la politica ne ha lautamente beneficiato: del resto chi può perdere le elezioni garantendo diritti (e redditi) a tutti? Ma quei diritti (e quei privilegi - in alcuni casi la differenza è labile) costano.

Gli assistiti aumentano. La mala gestio dei beni pubblici li annichilisce. La spesa pubblica improduttiva aumenta. E ciò ha prodotto falle intamponabili che rendono la nave Italia zavorrata e fragile già per le acque europee, figuriamoci per quelle globali.

C’è però una differenza tra le forze politiche.

I vecchi liberali (o liberisti economici alla Margaret Thatcher) si gioveranno del disastro; potranno almeno dire: lo Stato non può funzionare perché non esiste, esiste l’individuo. Gli statalisti, le sinistre e destre sociali non possono dirlo. Non possono riconoscere che avere sabotato lo Stato non rende più possibili (ed economicamente

sostenibili) le politiche pubbliche, men che meno quelle (sicurezza, legalità, sanità, scuola…) che la globalizzazione mette fortemente alla prova.

Quindi meglio dire che gli italiani stanno diventando razzisti piuttosto che riconoscere che lo Stato non sa gestire i flussi migratori. Meglio dire che spira il vento dell’autotutela, del far west, che ammettere che lo Stato non riesce a garantire la sicurezza ai cittadini. Meglio censurare gli evasori fiscali che riconoscere che il primo a non pagare i suoi debiti è proprio lo Stato.

Insomma, più semplice additare il nemico globale che certificare il fallimento della politica e dello Stato italiano. Non è difficile: basta scambiare causa con effetto e il gioco è fatto. E allora sia: maledetta globalizzazione!

Aldo Berlinguer

Ordinario all’Università di Cagliari
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