«Cause violente e non accidentali». Questa la convinzione degli inquirenti che indagano sulla morte di Alex Marangon, il 25enne di Marcon, in provincia di Venezia, il cui corpo è stato ritrovato il 3 luglio scorso sul greto del Piave, quattro chilometri dal punto in cui era stato visto vivo l'ultima volta.

Valenza all’ipotesi che non si sia trattato di suicidio né di un incidente avvenuto durante un rito sciamanico “ayahuasca” presso un’abbazia sconsacrata della zona, come ipotizzato in un primo momento, è arrivata dall'esito dell'autopsia condotta sul corpo del giovane.

Il reato per il quale si procede, a questo punto ancora contro ignoti, è quello di omicidio volontario. 

L'esame sul cadavere su Alex Marangon «restituisce un quadro inquietante, quello di una aggressione potente, sfuggente, nel corso di una colluttazione che male si concilia con il caso», ha commentato l'avvocato Nicodemo Gentile, che assiste la famiglia Marangon.

«Non c'è ragione – ribadisce il legale - e motivi per credere al suicidio o cose diverse».

Da quanto si apprende, l’autopsia «ha evidenziato una botta sulla parte sinistra della testa, addebitando l'accaduto a più di una persona».

L'appello dei familiari al gruppo di una ventina di persone che ha partecipato al rito all'abbazia sconsacrata di Vidor, «è di parlare, con spirito di pietà»: più persone sanno quello che è successo».

(Unioneonline)

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