I punti interrogativi sono tanti, così come i dubbi che ancora restano e che impediscono di chiudere definitivamente il caso di una 28enne di origine sarda trovata morta nel 2001 sul greto del fiume Bisenzio, in Toscana.

La sua famiglia si è sempre opposta ogni qualvolta è venuta fuori la parola "archiviazione". Come ricorda l'avvocato Luisa Vitali, non è mai stato eseguito, ad esempio, l'esame del Dna sugli abiti sequestrati. Ma non solo: ci sono anche incongruenze da mettere in luce nelle dichiarazioni rilasciate dai testimoni all'epoca ascoltati.

Valentina Fodde, sassarese e mamma di un bimbo che nel 2001 aveva tre anni, viveva a Firenze e faceva l'estetista a Prato. Un giorno del gennaio di 20 anni fa, è salita - come tante altre mattine - su un pullman per raggiungere il suo posto di lavoro ma non è mai arrivata. E sono stati proprio i colleghi a dare l'allarme. Immediate le ricerche, e il giorno successivo il corpo è stato ritrovato - con una profonda ferita alla testa - in un luogo impervio, dove a piedi era impossibile arrivare. Si è tolta la vita o qualcuno l'ha gettata nel fiume da una decina di metri di altezza?

Per la mamma l'ipotesi del suicidio è sempre stata da scartare perché Valentina, ha più volte dichiarato alla stampa locale, non soffriva di depressione e non ha mai manifestato comportamenti anomali.

Eppure poco dopo il pm chiede e ottiene l'archiviazione, per riaprire poi il caso affidando altre indagini alla polizia. Seconda archiviazione che arriva nel 2007. Poi, nel 2015, su richiesta dell'avvocato Vitali l'inchiesta si riapre e il gip rinvia il fascicolo alla Procura chiedendo ulteriori accertamenti.

In particolare ci sono due punti da chiarire: numerose cassette con incise delle registrazioni che sembrano scomparse nel nulla e l'esame del Dna sugli abiti che, seppur richiesto, non è mai stato eseguito.

(Unioneonline/s.s.)
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