Sono passati 28 anni da quei terribili sei mesi compresi fra il 15 gennaio e l'11 luglio 1992. Sei mesi che hanno segnato per sempre la vita dell'oggi 36enne Farouk Kassam.

All'epoca Farouk di anni ne aveva sette, e a sconvolgergli per sempre la vita sarebbero stati i sequestratori guidati dal bandito Matteo Boe e che in una fredda sera d'inverno lo sradicarono dal lettino della sua villa di Porto Cervo per rinchiuderlo in una prigionia lunga 177 giorni, nella grotta di Lula, pertugio lungo 18 metri in cima a una montagna e rivestito di calcare per la grande umidità.

Eppure, lui non serba rancore per i sardi e l'Isola, come ha raccontato in una lunga intervista pubblicata sul settimanale Sette, che svela anche molti retroscena del rapimento sino ad oggi poco conosciuti.

"Questo posto è casa mia - spiega Farouk, che sta trascorrendo le vacanze con un gruppo di amici proprio nell'Isola - non ho mai commesso l'errore di rinnegare la Sardegna per quello che è accaduto. Non è stata questa terra a ferirmi, è solo il luogo dove si è consumato un fatto grave: ma non posso dimenticare la bellezza che mi ha dato e la dolcezza dei primi anni di vita".

Il piccolo Farouk (archivio L'Unione Sarda)
Il piccolo Farouk (archivio L'Unione Sarda)
Il piccolo Farouk (archivio L'Unione Sarda)

"Sono sempre tornato - aggiunge poi - tranne quando ero negli Stati Uniti per via del visto: qui ho tanti amici, amo questa natura e appena arrivo faccio lunghe gite in gommone e passeggiate nei boschi, con il mio drone per fare riprese dall’alto".

Il suo sequestro avvenne nella villa dei genitori a Pantogia, la collina sopra Porto Cervo, dove la famiglia gestiva l'hotel Luci di la Muntagna. E per il suo rilascio venne pagato uno dei riscatti più alti mai visti per un sequestro di persona, si parla di 5 miliardi e 300 milioni di lire.

Nel lungo racconto a "Sette", Farouk ricorda i terribili momenti della prigionia, immobilizzato su un giaciglio di foglie e dove le sue gambe diventeranno, a causa dell'immobilità, "esili come grissini".

"Dovevo stare sdraiato - racconta Farouk - e voltato da una parte: mi era concesso un unico campo di visione". E fra le violenze dei suoi aguzzini, quella sul cibo. "Non credo fosse legato al fatto che mio padre è musulmano, ma l'unico cibo che mi veniva offerto - spiega - era il porceddu, carne di maiale, che peraltro io mangio ma che per un bambino di 7 anni è molto pesante: i miei rifiuti venivano ricambiati con frustate sulla schiena".

Farouk Kassam durante un sopralluogo nella sua grotta prigione (archivio L'Unione Sarda)
Farouk Kassam durante un sopralluogo nella sua grotta prigione (archivio L'Unione Sarda)
Farouk Kassam durante un sopralluogo nella sua grotta prigione (archivio L'Unione Sarda)

Per lui le giornate scorrevano interminabili, e le ingannava disegnando con un sassolino sulla parete una casa, quella in cui probabilmente voleva tornare.

"A un certo punto - racconta ancora a Sette - mi hanno dato una pistola scarica, quello è diventato il mio gioco: ricordo giornate intere a maneggiare quell’arma tra le mani". E poi i topi, tanti, che gli faranno sviluppare una vera e propria fobia per questi animali.

Poi il racconto dell'orecchio sinistro mutilato con una forbice da Matteo Boe, il dolore e un forte calore, infine il sonno profondo. "Al risveglio sentivo un battito forte su tutta la parte sinistra della testa", spiega.

E, ancora, le orecchie, con la colla versata dentro per impedirgli di ascoltare quello che i rapitori dicevano: alla liberazione ci vorranno diverse ore a mollo in acqua calda per togliergli di dosso la sporcizia.

Fra le conseguenze della prigionia, anche ossa decalcificate e difficoltà di parola: i medici che sentono parlare Farouk al rilascio parlano di "miagolio".

E quando dopo mesi tornerà nella grotta con gli inquirenti, lascerà tutti sbalorditi ricominciando a miagolare una volta dentro.

Quindi, un pensiero su Boe: "Non potrò mai perdonare e lo dico senza rabbia, ma con la consapevolezza che non è nelle mie capacità. Non desidero incontrare nessuno di loro, non ho mai provato un senso di vicinanza a queste persone: oggi hanno saldato il loro debito con la giustizia, quello morale è un’altra cosa. Boe ha 60 anni ed è libero: mi auguro che spenda la tanta vita che ha davanti per fare cose migliori".

E sul latitante Graziano Mesina: "Mediaticamente è stato molto abile a inserirsi nella mia vicenda, ma credo che l’abbia semplicemente usata per qualche suo tornaconto: non credo che all’epoca sia uscito di prigione per salvare Farouk. Oggi l’indifferenza è purtroppo la mia unica risposta".

(Unioneonline/v.l.)
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