Mentre monta il caso del presunto stupratore di origini sarde Massimiliano Mulas, accusato di violenza sessuale su una bimba di 11 anni di Mestre, emergono altri elementi sulla permanenza dell’uomo in Gallura. Fatti destinati ad alimentare le polemiche sulla lunga serie di reati (rapina, violenza sessuale, furti, estorsione e violenza privata) per i quali l’uomo è sotto processo o è stato già condannato. 

I Carabinieri di Tempio avevano infatti messo nero su bianco le loro valutazioni sulla propensione a delinquere di Mulas. Tutto scritto nel 2019, l’uomo (condannato tre volte per violenza sessuale e ora accusato in Veneto dello stupro della bambina) era a Tempio, a casa della madre, per scontare un residuo di pena. E a Tempio avrebbe preso di mira una vedova, una persona con problemi di stabilità psichica. Per questa ragione i militari erano piombati nella abitazione di Mulas, perquisendola. Dopo l’attività e dopo avere raccolto le informazioni sulla vittima e sul rapporto con Mulas, i Carabinieri avevano sollecitato «una idonea misura cautelare atta a scongiurare la reiterazione dei reati». E Mulas era stato segnalato, anche alla magistratura, per la sua pericolosità sociale.

La prova è negli atti del processo a carico dell’uomo in corso nel tribunale gallurese, dove Mulas è accusato di circonvenzione di incapace per la presunta razzia dei denari (circa 30mila euro) ai danni della vedova, alla quale aveva promesso il matrimonio.

Ma la pericolosità sociale era rimasta sulla carta. Successivamente Mulas parte dalla Sardegna e, stando a indagini aperte in Piemonte, inizia a commettere altri reati nel Cuneese per poi spostarsi in Veneto.

Nel 2019 i Carabinieri erano però in allerta per la sorte della vedova alla quale Mulas aveva promesso la convivenza, chiedendo e ottenendo del denaro. I militari sono riusciti proteggere la donna, alla vedova non venne torto un capello. Ma la loro insistenza sulla necessità di misure più incisive non ha avuto alcun riscontro.

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