Alex Marangon, morto dopo il rito sciamanico: indagati gli organizzatori e due “curanderos” colombiani
Il corpo del ragazzo fu ritrovato sul greto del Piave, a poca distanza dal punto in cui si presume possa essere precipitatoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ci sono quattro persone formalmente indagate, con l'ipotesi di morte come conseguenza di altro reato, in relazione al decesso di Alex Marangon, il giovane di Marcon (Venezia) morto la notte tra il 29 ed il 30 giugno dello scorso anno a Vidor (Treviso) in circostanze non ancora chiarite, nel corso di un rito sciamanico.
Si tratta degli organizzatori dell'evento, Andrea Zuin e Tatiana Marchetto, e di due "curanderos" di nazionalità colombiana, Jhonni Benavides e Sebastian Castillo, che avrebbero gestito la liturgia pagana durante la quale sarebbero state assunte sostanze allucinogene proibite in Italia, in particolare ayahuasca.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, prima di morire (questa l’ipotesi) cadendo da una terrazzamento alto più di dieci metri, sul greto del Piave, nei pressi dell'abbazia di Santa Bona a Vidor, Marangon potrebbe essere stato percosso al volto e al costato. L'ipotesi è contenuta nella perizia redatta da Alberto Furlanetto, consulente del pubblico ministero.
Il corpo del ragazzo fu ritrovato sull'alveo ghiaioso del fiume, a poca distanza dal punto in cui si presume possa essere precipitato. I convenuti al rito sciamanico, all'incirca una trentina, si erano ritrovati in un'abbazia interna ad uno stabile storico messo a disposizione dai proprietari all'associazione e normalmente ceduto in affitto per ricorrenze particolari come matrimoni o altri eventi.
Nel corso delle pratiche, tra musica e discipline di orientamento spirituale, sarebbero state consumate droghe e sostanze derivanti da piante allucinogene sulla cui provenienza non è stata fatta ancora chiarezza. Tra gli aderenti alla funzione due "ospiti" occasionali di nazionalità colombiana, Jhonni Benavides e Sebastian Castillo, definiti come "curanderos" e figure esperte delle ritualità previste per il ritrovo. Oggi sono due dei quattro indagati.
Sulla possibilità di un gesto volontario da parte della vittima, per Stefano Tigani, legale della famiglia della vittima, «pensare ad un'intenzionalità suicidiaria sulla base di una positività tossicologica o, ancor peggio, sulla base del riferito di persone di cui non è nota neanche la condizione psicofisica all'epoca dei fatti in esame sia quantomai rischioso, ancorché offensivo nei confronti di chi, come i genitori e la sorella di Alex attendono risposte chiare, ormai da oltre otto mesi. Bene farebbe sul punto la Procura - aveva detto l'avvocato - a spiegare innanzi tutto ora come mai i vigili del fuoco non hanno trovato tracce del passaggio del corpo di Alex tra rami e foglie e come mai un torace che impatta su rami non presenti alcun segno sulla cute, come di fatto specificato dallo consulente del pm».
(Unioneonline)