Ore 8.28 del 30 gennaio 2002. Il centralino del 118 della Valle d’Aosta riceve una telefonata da Montroz, frazione di Cogne: è Annamaria Franzoni, chiede l’intervento dei soccorsi per il figlio Samuele, di tre anni, che sta «perdendo sangue dalla bocca». In due successive telefonate afferma che gli è «scoppiato il cervello» e poi che sta «vomitando sangue».

Accanto c’è il medico di famiglia, la dottoressa Ada Satragni già contattata prima dalla Franzoni. Lei ipotizza una causa naturale, un aneurisma cerebrale causato dal pianto disperato del bambino.

Arriva l’eliambulanza ma non c’è niente da fare: il piccolo Samuele muore alle 9.55, e i soccorritori non hanno dubbi. Si tratta di omicidio e bisogna avvertire i carabinieri. L’autopsia stabilisce come causa del decesso almeno 17 colpi sferrati con un corpo contundente. Arma che non verrà mai trovata nei vari sopralluoghi nella villetta di Cogne resa famosa anche dai plastici di Bruno Vespa. Ma sul corpo del piccolo vengono rinvenute delle microtracce di rame, facendo supporre l’uso di un mestolo ornamentale, un pentolino o una piccozza da montagna. Lievi ferite sulle mani di Samuele fanno pensare a un estremo ma vano tentativo di difesa.

È il delitto di Cogne: uno degli infanticidi più efferati della storia italiana, uno dei casi di cronaca nera più mediatici della nostra storia. Tutto racchiuso in 8 minuti: tra le 8.16, ora in cui la Franzoni esce di casa con l’altro figlio Davide, e le 8.24, ora in cui dice di essere rientrata trovando il figlio in quelle condizioni.

Le perizie col luminol evidenziano abbondanti tracce di sangue (con frammenti di osso e materia cerebrale) sul pigiama della Franzoni. Al di fuori della camera da letto non ci sono tracce ematiche riconducibili a un’eventuale terza persona che si sarebbe allontanata, sporca del sangue della vittima, dopo il delitto (Franzoni aveva denunciato un suo vicino di casa).

La Franzoni viene iscritta nel registro degli indagati, fa il giro delle televisioni (Porta a Porta, Maurizio Costanzo Show, Buona Domenica, Studio Aperto). Piange parlando del figlio e si difende dalle accuse. Nella prima intervista, a Studio Aperto, alla fine si lascia sfuggire una frase (“Ho pianto troppo?”) su cui saranno fatte varie speculazioni. Nel frattempo resta incinta di un altro figlio, Gioele, che nasce nel 2003.

E Annamaria Franzoni il 21 maggio 2008 viene condannata definitivamente a 16 anni, le vengono concesse le attenuanti generiche. La sera stessa viene portata in carcere. Nessun vizio di mente: «La Corte – si legge nelle motivazioni della sentenza d’appello – non può non tenere conto del fatto che Annamaria Franzoni ha sofferto di un reale disturbo, che rientra nel novero delle patologie clinicamente riconosciute (degne anche di trattamento terapeutico), ma che nel sistema giuridico-penale vigente non costituisce di per se stesso infermità che causa vizio di mente».

Sedici anni di carcere, ma in cella ne passa sei e finisce ai domiciliari nella sua casa di Ripoli Santa Cristina grazie ad una perizia psichiatrica che esclude il rischio di recidività. E da settembre 2018, grazie all’indulto e ai giorni di liberazione anticipata, è definitivamente una donna libera.

(Unioneonline/L)

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