«Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». 

Giacomo Matteotti sapeva che le parole pronunciate alla Camera il 30 maggio di cento anni fa, il 1924, sarebbero state la sua condanna a morte: «Nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà», aveva detto il giornalista, segretario e deputato del Partito socialista unitario, eletto per la prima volta nel 1919 e poi rieletto nel 1921 e nel 1924. «Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso».

Matteotti, 39 anni, sposato e padre di tre bambini, aveva così denunciato le violenze e le illegalità commesse dai fascisti per vincere le elezioni politiche, tenutesi il 6 aprile di quell'anno. Protestando vivamente contro quanti in aula cercavano di impedirgli di parlare, chiese poi il disconoscimento del risultato elettorale. Al termine del suo discorso disse ai suoi compagni di partito quelle parole profetiche.

Appena dieci giorni dopo, il 10 giugno 1924, Matteotti uscì di casa intorno alle 16 dirigendosi verso la Camera dei deputati per preparare il suo intervento sull'autorizzazione dell'esercizio provvisorio del bilancio statale. Sul lungotevere incrociò una Lancia Trikappa nera in sosta: a bordo la squadra fascista di Amerigo Dumini, che lo rapì, pestò e uccise a coltellate. Il corpo fu ritrovato due mesi dopo l'omicidio, il 16 agosto a Riano. I funerali si svolsero tre giorni più tardi, il 19 agosto, a Fratta Polesine, sua città natale.

Il 3 gennaio del 1925, in un discorso alla Camera dei deputati, Benito Mussolini dichiarò pubblicamente la «responsabilità politica, morale e storica» del clima che aveva portato all'assassinio di Matteotti. Fu, secondo molti storici, l'inizio del ventennio fascista. A quel discorso fecero seguito, nel giro di due anni, l'approvazione delle cosiddette leggi fascistissime e la decadenza dei deputati che avevano partecipato alla secessione dell'Aventino per protestare contro il delitto Matteotti.

Sullo scranno della Camera dei deputati da cui Giacomo Matteotti pronunciò il famoso discorso, pochi giorni fa è stata apposta una targa e nessun parlamentare vi siederà più. 

(Unioneonline/D)

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