La delimitazione c’è, la bonifica no. O se è stata fatta, riguarda solo una minima parte delle aree della Sardegna che sono state inserite tra i siti di interesse nazionale. Ossia ampie porzioni di territorio individuate per legge «in base a caratteristiche (di contaminazione e non solo) che comportano un elevato rischio sanitario ed ecologico in ragione della densità della popolazione o dell’estensione del sito stesso, nonché un rilevante impatto socio-economico e un rischio per i beni di interesse storico-culturale». E che devono essere “indagate”, quindi analizzate per capire cosa ci sia sotto terra o in falda, e ripulite dall’inquinamento. 

Nell’Isola sono due: il Sin del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, costellato di miniere dismesse e industrie (alcune al tracollo) e quello di Porto Torres. L’ultimo report del Ministero dell’Ambiente cristallizza la situazione a giugno. Ma da allora poco, molto poco, è cambiato. 

Nel Sin meridionale sono stati perimetrati 10.639 ettari di aree industriali e 9112 di aree minerarie. Sul fronte dell’inquinamento del terreno  non ne sono ancora stati scandagliati oltre 3539, per la maggior parte nell’area di Macchiareddu. Tradotto: agli atti non risulta quanto e se siano inquinati. Anche se la probabilità è altissima. Su 1457 ettari sono stati approvati i piani di caratterizzazione (necessari per capire come intervenire) ma non sono stati effettuati.

Le aree potenzialmente contaminate, con concentrazioni di veleni superiori alle soglie di rischio, risultano essere di 415 ettari. Mentre quelle certamente contaminate, indicate con un rosso “allarme” nelle mappe, sono estese 2869 ettari: la zona di Portovesme è tutta di questo colore. I progetti di bonifica approvati  – dopo un lungo iter – valgono per 893 ettari. Quanto è stato bonificato finora? 128 ettari certificati, dice il Mase. Un fazzoletto.

Enrico Fresu  

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