Il messaggio criptato del server di bordo ha il codice di classificazione 50049. La disposizione è del Comando Superiore della Logistica. Quando la telescrivente in plancia di comando lo batte, lettera dopo lettera, la “San Marco”, la nave da sbarco della Marina Italiana, in carico al celebre battaglione, è ormeggiata con tutta la sua invadenza al Molo Ichnusa del Porto di Cagliari, quello inizialmente destinato alle navi da crociera. Il gigantesco “transatlantico” da guerra ha appena preso il posto del “Meteoro”, il pattugliatore dell’Armada Española che già sabato aveva lasciato il porto cagliaritano per conquistare una posizione in una delle 17 aree esterne ai poligoni militari sulle coste dell’Isola. In quella che un tempo era la darsena di Luna Rossa ora si affaccia la torretta di un sommergibile. Nero nero, come si conviene alle “navi” degli abissi.

Porto di guerra

Tutto il porto della capitale è disseminato di navi da guerra. Ovunque, dalla portaeromobili “Garibaldi” ad altre unità d’attacco via mare. L’immensa “pancia” della “San Marco” “ingurgita” in un colpo solo 350 militari delle truppe da sbarco, 36 veicoli corazzati da combattimento e altre decine di mezzi militari. Tutti appena arrivati in porto dopo aver percorso, con un’infinita colonna marciante, la statale 554. Quando la fase di caricamento è conclusa il Comando dispone il tanto atteso “liberi tutti”. Tutto questo sino a domenica pomeriggio. L’operazione “liberate Cagliari” del resto aveva pianificato il distacco delle cime dalle bitte poco dopo l’alba di ieri. Nel pomeriggio di domenica, però, salta tutto, nonostante gran parte degli uomini, soprattutto quelli della “San Marco”, dislocati nel molo più centrale, avesse pianificato non solo la sera nelle vie della Marina, ma anche una puntatina alla partita del Cagliari con l’Inter, nel Sant’Elia fattosi arena di ponteggi. Niente da fare.

Dietro front, si salpa

Dietro front, imprevisto e immediato. Disposizioni superiori. La decisione si consuma nel pomeriggio di domenica, quando quel fonogramma criptato è già rimbalzato da un comando all’altro delle navi dislocate nel Golfo degli Angeli. Ricevono l’allerta la “San Marco”, la nave “Garibaldi” ormeggiata al Molo Rinascita, la “San Giusto” e l’ “Alpino”, ormeggiate nel defunto Porto Canale, la nave “Alghero” e la “Tremiti”. L’identificatore di messaggio riporta l’informativa ricevuta direttamente dai vertici della Difesa. L’oggetto è esplicito: «Manifestazione antimilitarista». Il contenuto è integrale: «Questa mattina ricevuta informativa dalla Questura di Cagliari di una imminente manifestazione antimilitarista nel Porto di Cagliari nell’area prospiciente il Molo Ichnusa, nelle vicinanze delle unità navali ormeggiate, organizzata da un gruppo antimilitarista locale. Stop». Come dire, la “parata” di guerra nel cuore di Cagliari stava per essere “disturbata” da un gruppo antimilitarista locale. Il Ministero della Difesa, attento come non mai a curare magnificenza e imponenza militare, non poteva far altro che disporre l’immediata “fuga” notturna dal Porto di Cagliari. È a quel punto che tutti gli uomini dell’equipaggio e dello sbarco anfibio sono stati richiamati con “somma” urgenza a bordo. I rimorchiatori e i piloti del porto, in un battibaleno, hanno dovuto cambiare le disposizioni e predisporre una “rapida” operazione di “salpano tutte”, con un sovraccarico di lavoro improvviso, visto che tutto era stato pianificato e disposto per il giorno dopo. A luci spente, nonostante i rimorchiatore viaggiassero a riflettori spianati, le navi da guerra abbandonano il porto poco prima del fischio finale all’arena di Sant’Elia. Non vanno, però, molto lontano. Per trascorrere la notte si stagliano in rada, con il controluce di una luna piena che le inquadra senza indugio, tra una petroliera e l’altra. Sino a ieri mattina, quando, poi, i mezzi hanno ripreso la rotta stabilita verso la penisola interdetta, da Porto Scudo a Cala Zafferano, le più esclusive spiagge di Capo Teulada, vietatissime a chiunque, ma non ai mezzi d’assalto della Nato. È qui in questo scenario, costellato da decine di imbarcazioni da guerra che sembrano tracciare la rotta di Sant’Efis a mare, che si prevede la fase più “cruenta” dei giochi di guerra. Come se in terra di Sardegna si dovesse ripetere la storica operazione Neptune, il nome in codice dello sbarco in Normandia, una delle più imponenti invasioni anfibie della storia. Allora, però, a gestire lo sbarco sulle coste francesi c’erano le forze alleate occidentali, intenzionate ad aprire un fronte opposto a quello orientale dove l’Armata Rossa si stava da tempo fronteggiando con i nazisti. Ora, come 78 anni fa, questa volta sulle spiagge sarde, ci sarà un imponente bombardamento aeronavale sulla costa, contro il promontorio di quella Penisola Delta, interdetta per via di quegli 860 mila colpi esplosi contro la natura, come se l’inchiesta del Tribunale di Cagliari per disastro ambientale appartenesse ad un altro Stato. Solo dopo le navi d’assalto anfibio faranno scattare l’invasione della costa sarda. Peccato, però, che siano trascorsi 8 decenni da quella “strategia” militare. Anche impegnandosi con non poca fantasia, del resto, non è facile ipotizzare uno scenario di guerra dove le truppe italiane o quelle della Nato possano mettere in atto un simile sbarco anfibio. Un dispiegamento di forze, negli anni passati 21 navi, questa volta 65, che conferma uno smisurato esborso di denaro pubblico per sostenere strategie militari vecchie come il cucco, ancora legate al mito “cinematografico” dello sbarco in Normandia. La realtà è che tale “struttura” militare è profondamente legata alle industrie belliche che, per sopravvivere, o meglio per guadagnare a piene mani, hanno bisogno di essere “foraggiate” dalle guerre oppure dalle esercitazioni. Tutto questo nonostante gli scenari mondiali siano profondamente cambiati, dalle tecnologie agli approcci alla Difesa. A Teulada, invece, come se fosse una rimpatriata della seconda guerra mondiale, si prepara un «connotato di proiezione» come esplicita la nota interna della Difesa, «sostenuto dalla presenza di una forza da sbarco composta da oltre 350 fucilieri della Brigata Marina San Marco e integrata da una compagnia di Lagunari dell’Esercito Italiano e due della Forza da sbarco spagnola». Roba da medioevo della Difesa.

Bombe & ombrelloni

A supporto di questa “parata” via mare, tra ombrelloni già dispiegati e la Sardegna in versione “Hannibal” per un’ondata di caldo estivo che supera i 30 gradi, ci saranno, però, anche gli F-35 B, i caccia di ultima generazione in grado di decollare in uno spazio molto ristretto e atterrare verticalmente. Dove sperimentarli se non in Sardegna? Il costo di ogni F35 è di ben 106 milioni di euro, ma l’Italia prevede di spendere in tutto 14 miliardi per acquistarne 90. Non restano che due austere domande, rimaste ancora senza risposte nelle carte e nei bilanci miliardari del Ministero della Difesa. La prima: quanto è stato stanziato per bonificare le terre sarde devastate da queste esercitazioni militari a suon di bombe e missili contro le coste dell’Isola? Seconda: ipotizzando uno scenario surreale, quali sono le reali capacità di difesa della Sardegna dopo averla esposta come bersaglio internazionale grazie a queste esercitazioni così imponenti? Basterà uno sbarco stile Normandia? E, per non essere eccessivamente indiscreti, dove si intende “sbarcare” per difendere l’Isola dei Nuraghi? Così, giusto per saperlo.

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