Il parco fotovoltaico, l'alga spirulina e una mega torre per studiare la materia oscura, ovvero quel 23 per cento di universo ancora sconosciuto. Passa da qui la rinascita di Monte Sinni, l'ultima miniera sarda di carbone. Nel 2022, con l'invasione russa dell'Ucraina, sembrava dovesse riaprire perché Mosca bloccò la vendita di gas all'Italia. Poi non se ne fece più nulla: la ripartenza di Monte Sinni, dopo cinque anni di inattività, sarebbe costata troppo. Così la tabella di marcia verso l'addio al carbone è proseguita senza intoppi, con tutta una serie di scadenze da qui al 31 dicembre 2026. Obiettivo: restituire un futuro ai siti di Nuraxi Figus e Seruci.

Il territorio è quello di Gonnesa, 68 chilometri da Cagliari, dove ogni giorno viaggia Francesco Lippi, amministratore unico di Carbosulcis, la spa regionale che dal 1996, dopo l'uscita di scena di Eni, gestisce in solitario Monte Sinni.

Lippi, nominato dalla Giunta Solinas nel luglio del 2019, traccia in questa intervista l'orizzonte della miniera.

Alla fine Monte Sinni è rimasta chiusa.

«Pur nella contingenza del momento, col rischio che nel 2022 l'Italia non avesse sufficienti riserve energetiche, la spesa per fermare la dismissione sarebbe stata troppo elevata. Decisamente fuori misura per i conti pubblici».

Di quanto parliamo?

«Di oltre 200 milioni di euro, solo per riorganizzare le infrastrutture e rimettere in funzione gli impianti fermi dal 31 dicembre del 2018. Il tutto a fronte di una produzione di scarsa qualità, visto che il combustibile fossile di Nuraxi Figus e Seruci è pieno di zolfo. La stessa centrale a carbone di Enel, nella vicina Portovesme, si sta preparando alla riconversione».

A Monte Sinni il piano di dismissione cosa prevede?

«D'accordo con Bruxelles, che nel 2014 ha dato l'ok al cronoprogramma messo a punto da Regione e Carbosulcis, i pozzi di Nuraxi Figus e Seruci dovranno essere chiusi entro la fine del 2026. E tutte le strutture messe in sicurezza. I beni, se vendibili, verranno ceduti al mercato, diversamente andranno smaltiti nei centri autorizzati».

Lei è arrivato sette mesi dopo lo stop all'attività estrattiva: cos'ha trovato?

«Ho trovato la pianificazione di alcuni interventi specifici legati alla chiusura, come il recupero dei materiali, la segregazione di parti del sottosuolo e varie azioni di bonifica».

A che punto sono le opere?

«Dopo quattro anni di mandato, le attività proseguono nel rispetto della cosiddetta Phase out, l'uscita dal carbone. Una tabella di marcia a cui, per volontà della Regione, il socio unico, abbiamo previsto programmi di affiancamento, di cui uno, denominato Aria, è già attivo».

Di quale Regione parla, quella di Pigliaru o di Solinas?

«Pigliaru e Solinas, che vanno in continuità con un partner strategico e di livello mondiale come l'Istituto nazionale di fisica nucleare».

La mega torre di Aria dove verrà realizzata?

«Sarà una torre criogenica, di distillazione, per la produzione di argon e altri gas nobili. Verrà realizzata nel pozzo 1 di Seruci e sarà alta 350 metri (più della Torre Eiffel, ndr). L'investimento rientra nel progetto internazionale Dark side, per lo studio della materia oscura. La valenza di Aria è doppia, se immaginiamo l'intervento all'interno di un progetto globale di riconversione di Monte Sinni».

Perché dice "immaginiamo": c'è il rischio che questo non avvenga?

«La Regione può decidere che non ci siano le condizioni».

Lei per cosa tifa?

«Ovviamente per la riconversione, io sono un sostenitore dell'economia circolare. Si aggiunga che il sito di Monte Sinni, negli anni, è costato un patrimonio ai sardi e alle casse della stessa Regione. Siamo nell'ordine di centinaia di milioni di euro. Si aggiunga che dal 1996, con l'uscita di Eni dalla gestione della miniera, venivano spesi all'anno una cinquantina di miliardi di vecchie lire. Tra investimenti e perdite da ripianare. Ma soprattutto la miniera è unica nel suo genere, ha caratteristiche tali da poter diventare il sito ideale per tanti progetti anche di carattere ambientale. Monte Sinni può  convertirsi in un attrattore importante per il rilancio del Sulcis».

I lavori della torre criogenica a che punto sono?

«L'obiettivo è metterla in funzione nel 2025. Adesso si sta preparando il pozzo che la ospiterà. Ricordiamo che gli isotopi non solo servono per lo studio della materia oscura, ma il loro impiego trova applicazione anche nel campo della medicina. Aria è un progetto unico al mondo».

Quanto vale?

«Siamo intorno ai 25 milioni di euro».

I soldi chi li mette?

«Una parte l'Istituto nazionale di fisica nucleare, una la Regione e una la Carbosulcis».

La spa regionale che lei guida che entrate proprie ha?

«Facevamo cassa con lo smaltimento delle ceneri in arrivo della centrale Enel di Portovesme. Un'attività che però abbiamo terminato a fine 2020».

Per tornare al piano di dismissione da concludere nel 2026, a che punto siete con le bonifiche?

«Sono conclusi gli argini di Seruci, dove il ripristino dei luoghi è completato. Un analogo intervento è in dirittura d'arrivo a Nuraxi Figus: la Provincia del Sud Sardegna ha deliberato il via libera alle opere, dobbiamo attivare solo i cantieri. Extra piano, invece, stiamo bonificando la discarica di soprassuolo di Nuraxi Figus: entro l'anno sarà ultimata la copertura con argilla. Sopra sarà sistemato il dreno e poi ancora uno strato di terra vegetale. A quel punto l'area sarà pronta per realizzare il primo impianto fotovoltaico di Monte Sinni: partiranno i lavori per i primi quattro megawatt sui 10 autorizzati. Abbiamo sistemato e chiuso anche la discarica di sottosuolo, che era l'unica autorizzata in Italia: lì stoccavamo le ceneri della centrale di Portovesme».

Quanto valgono, in totale, gli interventi per la messa in sicurezza della miniera e la sua chiusura?

«Duecento milioni».

Quanti ne dovete ancora spendere?

«Una quarantina».

Difficoltà?

«Ci sono anche quelle, com'è naturale, dovute al fatto che più si va avanti col piano, meno personale abbiamo a disposizione. Per facilitare l'uscita dei dipendenti, in vista del 31 dicembre 2026, sono previsti anche incentivi».

Quanti lavoratori sono rimasti?

«Un centinaio».

Quanti erano quando lei è arrivato nel 2019?

«Il doppio. Del 50 per cento per cento che ancora lavora, sono una parte operai e un'altra amministrativi. I primi sono impiegati nei cantieri delle discariche di soprassuolo e sottosuolo e si occupano anche della manutenzione ordinaria e straordinaria della miniera. Il grosso delle attività di dismissione sono concentrate nei pozzi e nelle gallerie. Gli amministrativi curano la parte burocratica legata agli interventi e alla presentazione dei progetti su bonifiche e recupero ambientale».

Quanti pozzi ci sono a Monte Sinni?

«Sia Nuraxi Figus che Seruci hanno un pozzo principale e uno secondario. Ce ne sono anche altri di minore importanza per i quali stiamo avviando le procedure di tombatura».

Di che profondità parliamo?

«Meno 500 metri».

L'intera area mineraria che estensione ha?

«Duecento ettari».

Dopo il 31 dicembre 2026 cosa succederà?

«Il piano ratificato dalla Commissione europea prevede che dal 1° gennaio del 2027 la Carbosulcis non avrà più la concessione mineraria. I lavoratori, almeno quella quota residuale che non rientrerà negli incentivi, avranno tempo sino a giugno dello stesso 2027 per concludere la formazione specifica prevista nel piano di dimissione».

La Carbosulcis verrà messa in liquidazione?

«In teoria sì. È uno degli scenari possibili. Oppure la Regione può decidere di accorpare la società a un'altra partecipata».

Per esempio?

«All'Igea, che di bonifiche già si occupa. Di certo il personale verrà assorbito da altri enti della Regione».

Lo scenario due qual è?

«Come Carbosulcis, su richiesta del socio unico, a dicembre 2022 abbiamo presentato un pre-piano di fattibilità per la riconversione ecologica del sito. Abbiamo proposto una serie di interventi compatibili col progetto Aria. Le carte sono all'attenzione della Regione che a Carbosulcis potrebbe dare il compito di presentare un nuovo piano industriale».

Il pre-piano di fattibilità cosa prevede?

«Trasformare Monte Sinni in un hub energetico».

Ovvero?

«Avviare la produzione da fonti rinnovabili per un totale di 22 megawatt. Oltre al già citato progetto da 10 megawatt, da realizzare nella discarica di soprassuolo bonificata a Nuraxi Figus, è prevista la costruzione di un secondo impianto di fotovoltaico da 12 megawatt, stavolta a Seruci. Il dato positivo è che la realizzazione di questo parco è una richiesta espressa dalla Commissione europea per compensare le emissioni di Co2 ai tempi del carbone».

Chi dovrebbe gestire gli impianti fotovoltaici?

«Siamo in attesa che la Regione prenda una decisione. Lunedì prossimo, nell'assessorato all'Industria, è previsto un incontro al quale partecipano la parte politica, la Carbosulcis e le organizzazioni dei lavoratori. Sarà l'occasione per conoscere gli intendimenti della Regione sul proseguo dell'eventuale riconversione. Il parco fotovoltaico permetterebbe alla stessa Carbosulcis di abbattere i costi delle sue bollette: oggi paghiamo tra 1,7 e 1,8 milioni di euro l'anno».

Vede la strada in salita?

«Affatto. Io credo che la Regione abbia tutto l'interesse a sostenere la realizzazione del parco fotovoltaico, che entrerebbe nel patrimonio pubblico».

Una spallata alle servitù energetiche, visto che sulle rinnovabili, con l'eolico in testa, c'è un vero e proprio assalto ai danni della Sardegna.

«Pensando in grande e seguendo gli esempi di altre società pubbliche regionali, come quella della Valle d'Aosta, la Regione potrebbe giocare un ruolo chiave in campo energetico. La Società elettrica sarda ha scritto un pezzo di storia nella nostra Isola. E nulla impedisce che partecipino operatori privati».

Quanto costa un parco eolico da 10 megawatt?

«Intorno ai 600-700mila euro a megawatt. Più alcune opere collaterali. Noi, come Carbosulcis, crediamo che Monte Sinni possa diventare ospitare anche un deposito di energia rinnovabile con il sistema di stoccaggio gravitazionale».

Come funzionerebbe?

«Attraverso il sollevamento e la caduta di pesi, i quali, in assenza di sole, scenderebbero per produrre energia».

Pesi costruiti come?

«Realizzati attraverso gli scarti di lavorazione del carbone, scarti abbancati a Monte Sinni. Questo sistema sarebbe totalmente meccanico, quindi di lunghissima durata, a differenza degli accumuli a batteria. Come sappiamo il litio si deteriora dopo otto-dieci anni, e genera problemi anche nello smaltimento».

Per il deposito di stoccaggio gravitazionale si è fatto avanti qualche partner?

«Sì, siamo in contatto con una società svizzero-americana, la Energy Volt, che progetta e vende impianti di accumulo in tutto il mondo. Il partner è interessato a condividere con noi l'analisi per l'utilizzo dei tre chilometri di discenderia della miniera: sono tre rampe da mille metri ciascuna, con una pendenza del 15 per cento che porta giù sino a meno 400 metri. L'obiettivo è creare un prototipo. Non solo: a Monte Sinni ci sono falde, da cui ogni giorno viene aspirata l'acqua per evitare che si allaghino le gallerie. Un'ipotesi di lavoro è produrre energia creando anche un sistema di pompaggio idroelettrico. Entro la fine dell'anno dovremmo avere costi e fattibilità».

State mettendo il naso anche sulla bio-agronomia attraverso la desolforazione del carbone. Che novità ci sono?

«Tecnicamente si parla anche di lisciviazione. Usando uno speciale acido, verrebbero trattati ancora gli scarti di carbone abbancati a Monte Sinni per produrre un fertilizzante. Sul processo abbiamo già depositato il brevetto. Addirittura la qualità aumenterebbe arricchendo il prodotto con il compost ricavato dalla frazione umida nell'impianto della Tecnocasic, a Macchiareddu, dove arriva la spazzatura dell'area vasta di Cagliari. Il progetto viene portato avanti insieme all'Università di Cagliari. Monte Sinni potrebbe diventare il primo polo di eccellenza sulle politiche industriali legate alla transizione ecologica e ambientale. Sta collaborando anche il Crea, il Consiglio nazionale per la ricerca in agricoltura».

Con la spirulina cosa volete fare?

«Sempre insieme all'Ateneo di Cagliari, è stato accertato che l'alga dei miracoli, capace di ridurre colesterolo, trigliceridi e pressione sanguigna, migliora i suoi effetti benefici se coltivata utilizzando le acque calde della miniera».

Il partner privato c'è?

«È l'obiettivo. Io sono ottimista, su tutto: Monte Sinni ha potenzialità  enormi, anche in un'ottica di sinergia con la Sotocarbo, altra spa regionale che sta lavorando alla produzione di energia, sfruttando l'idrogeno. Le rinnovabili devono essere un versante di impegno pubblico, nell'interesse dell'ambiente e di tutti i sardi».

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