Il palazzo è sacro. Non per modo di dire. Qui, su un gradino più alto del Colle che domina Roma, quando ancora lo Stato Pontificio imperava sulla Caput Mundi, si ergeva la “Sacra Consulta”, la giustizia di Dio. Affari di chiesa in vita terrena. Quelle due monumentali colonne, che si inerpicano su una facciata tanto impetuosa quanto ornata da arditi ricami architettonici, ora segnano l’ingresso elettronico nella Corte delle Corti. Quella Suprema, quella delle leggi. Lo sguardo del Palazzo traguarda l’orizzonte di Roma, dritto verso San Pietro. Attraversi la strada, pochi metri, e sei al cospetto del Quirinale. Da una parte la Corte Costituzionale, dall’altra la Presidenza della Repubblica. Secondo la Carta delle leggi questo è il Colle delle garanzie. L’ultima spiaggia per l’equilibrio dei poteri, l’ultimo baluardo per dipanare un conflitto perenne tra istituzioni che si contendono poteri e competenze a suon di randellate senza esclusioni di colpi. Un tempo, qui, prima del Covid, la magnificenza dell’istituzione illuminava gli occhi con sale dorate e riti cerimoniali d’altri tempi. Tutto finito, per il momento. La sicurezza da Coronavirus ha riposto negli armadi quelle integerrime toghe nere, ornate con merletti dorati, riservate ai Giudici dei Giudici.

Repubblica, non Stato

In cassaforte anche il collare d'oro raffigurante la “Repubblica” da sempre al collo delle toghe più alte, quelle Costituzionali. Effige femminile della “Repubblica”, e non dello Stato. Non una differenza di poco conto. Repubblica, infatti, è sì anche lo Stato, ma non solo. Repubblica sono pure le Regioni e i Comuni. Non un primato dell’uno sull’altro, ma il giusto e costituzionale equilibrio dei poteri. Quando entri nel Palazzo della Consulta tutto è cambiato, ma l’imponenza della biografia dei Giudici che la compongono è tale da preservare tutta l’autorevolezza del collegio giudicante.

L’Amato-Barbera

Nei corridoi trasformati in gallerie d’arte ti vedi passare davanti in carne e ossa il più studiato dei manuali di diritto pubblico, quell’Amato-Barbera che generazioni di giuristi hanno sempre considerato un “Vangelo”. Nell’androne principale incede con passo spedito e trafelato Giuliano Amato, vice Presidente della Corte Costituzionale, quel dottor Sottile a cui tutti riconoscono l’eterna candidatura alla Presidenza della Repubblica. Nei corridoi ragiona Augusto Barbera, altro giudice che ha segnato la storia del diritto costituzionale. Nella sala dell’Udienza, trasferita per sicurezza virus all’attico del palazzo, è di scena la contesa delle contese. Lo scontro è di quelli titanici. Da una parte lo Stato, quello di Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e dall’altra la Regione Autonoma della Sardegna. Giancarlo Coraggio, Presidente della Corte Costituzionale, governa la seduta con l’autorevolezza di chi si fa capire con uno sguardo. Quando cede a Silvana Sciarra, prima donna eletta dal Parlamento come Giudice costituzionale, lo scettro della relazione sulla causa in discussione sa di non averle chiesto una passeggiata al parco. Non lo dice apertamente, ma lascia trasparire un velo di sarcastica ironia per un ricorso vergato direttamente dal capo del governo con l’80% degli articoli impugnati, come se la Regione sarda non ne avesse azzeccata nemmeno una.

Piano Casa, l’ecatombe

Dei 29 articoli della legge sul cosiddetto “Piano Casa 2” ne sono rimasti in piedi, senza impugnazione, solamente 4, i più insignificanti. Ci vuole la grazia del Giudice relatore per riportare a sintesi quel malloppo di 89 pagine con il quale il governo taglia a fette, o meglio ci tenta, le aspirazioni “costituzionali” della Regione. In discussione ci sono gli aumenti volumetrici per alberghi e residenze, i parcheggi per i camper e il risanamento del comparto edilizio dell’Isola. Partite di dettaglio, marginali rispetto al vero oggetto del contendere: il potere della Regione di poter governare, senza intromissioni medioevali, il proprio territorio regionale. In discussione c’è uno dei fondamenti dell’ordinamento Costituzionale: la potestà esclusiva della Regione sarda in materia di “governo del territorio” e “tutela del paesaggio”. Lo Stato, quello di Palazzo Chigi e, soprattutto, quello del Ministero dei beni culturali, non ne vuole sentire. In sintesi, per il Governo, non esistono prerogative costituzionali che consentano alla Sardegna di essere padrona in casa propria.

Arma bianca

Il ricorso, messo nero su bianco dall’avvocatura di Stato, è un assalto all’arma bianca. E’, per essere più espliciti, la guerra delle guerre. L’attacco del governo alla specialità autonomistica è, per molti versi, premeditato. Quella legge varata dal Consiglio regionale in due tempi, tra il 19 e il 21 gennaio scorsi, aveva, anche nel titolo, la sua missione: riuso, riqualificazione e recupero del patrimonio edilizio esistente. Tutto nel quadro della materia esclusiva del “governo del territorio”. Peccato, però, che qualche solerte funzionario di Stato, magari del Ministero dei beni culturali, non accetti che l’Isola dei Nuraghi possa governare da sé il territorio e la sua tutela paesaggistica, come hanno previsto prima la Costituzione e lo Statuto e, poi, le norme d’attuazione. Lo scontro si consuma nella Suprema Corte in una serie di udienze pubbliche, tutte tra ottobre e novembre, l’ultima martedì scorso. Adunanze senza esclusione di colpi. L’attacco dello Stato alle prerogative costituzionali della Sardegna è diretto, per molti versi persino rozzo nei toni e nella sostanza. Ad aprire il fuoco, in piena udienza, è l’avvocato dello Stato Marco Corsini. Non usa la toga, ma sfodera la scimitarra. Le sue parole suonano come una vera e propria dichiarazione di guerra.

Regno di Sardegna

Le affermazioni sono testuali: «Non è possibile che la Regione sarda pensi ancora di essere il Regno di Sardegna e si contrapponga allo Stato nella pretesa di disciplinare autoritativamente, unilateralmente, e persino contro i principi dello Stato, in materia di tutela del paesaggio». Toni senza precedenti con affermazioni che stridono non poco con la stessa giurisprudenza consolidata della Corte.

Replica il Professore

La reazione della Regione è affidata a Benedetto Ballero, l’avvocato professore che per decenni ha insegnato nelle Università dell’isola diritto costituzionale e rapporti con lo Statuto speciale sardo. Non lascia cadere nel vuoto i rimpianti del Regno di Sardegna evocati dall’avvocato dello Stato, ma si affida ad un’arringa tutta sul filo del diritto e sul merito della causa, con un’accusa pesantissima: «Lo Stato sta mettendo in discussione se la Sardegna ha ancora titolo ad esistere come Regione Autonoma, il cui Statuto è stato approvato contestualmente alla Costituzione prevedendo per quattro regioni speciali la competenza esclusiva in materia di tutela del paesaggio. La sensazione è che lo Stato voglia, invece, affermare la propria esclusività di decisione sulla Sardegna». In ballo c’è un elemento chiaro ed imprescindibile: il governo del territorio. Insomma, padroni a casa propria. Il contendere è chiaro: poter decidere dove costruire e come costruire, come pianificare lo sviluppo e soddisfare le esigenze di tutela del paesaggio. Qui, nella Corte delle Corti, non si discute se una casa può essere costruita in un terreno agricolo o se un camper può essere parcheggiato dentro il perimetro dei trecento metri.

Sardegna Speciale?

Il tema è più alto e dirimente: la Regione Sardegna è ancora una Regione a Statuto speciale o è stata commissariata dallo Stato? Il ricorso dello Stato non lascia adito a dubbi: la Sardegna non può esercitare la competenza del governo del territorio se non ha prima trattato con lo Stato la tutela del paesaggio su tutto il territorio regionale. Come se il Sindaco di un Comune entrasse a casa di un cittadino e volesse decidere come disporre la camera da letto o la cucina. Lo Stato vuole avere, insomma, con i suoi tentacoli burocratici, le mani in pasta e non rinuncia a nessuno strumento per ottenere il risultato.

Il ricorso sardo

La Regione, nel ricorso firmato dal professor Benedetto Ballero insieme alla punta avanzata dell’Avvocatura Regionale alla Corte Costituzionale, il giovane avvocato Mattia Pani, passa all’attacco: «Il Governo, con un’evidente forzatura logica, afferma che la pianificazione paesistica è sovraordinata ad ogni altra programmazione del territorio e che sussiste un obbligo di copianificazione paesistica (Stato-Regione) sia per ogni modifica del vigente PPR, sia per il completamento della pianificazione paesaggistica, con un PPR esteso al restante territorio dell’isola (e così non è)».

Il vincolo totale

«In tal modo – scrivono i legali della Regione - l’impugnazione dello Stato pretenderebbe di imporre un insindacabile vincolo di immodificabilità del territorio di tutta l’Isola, se non previa copianificazione Ministero-Regione in materia di paesaggio su tutto il territorio regionale. Piuttosto che un’Autonomia Statutaria sembra quasi un commissariamento governativo». In pratica la Regione, secondo la tesi del Governo, deve negoziare tutto con lo Stato. Peccato che Palazzo Chigi ignori completamente un passaggio decisivo della vicenda: le norme di attuazione dello Statuto sardo.

Rango costituzionale

Non una legge qualsiasi, ma una norma di rango costituzionale, gerarchicamente superiore ad una legge ordinaria dello Stato. Il tentativo è quello di ignorare il Decreto del Presidente della Repubblica n.480 del 22 maggio del 1975. Si tratta delle «Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna». Il Capo terzo disciplina “Edilizia e Urbanistica”. E’ qui il cuore dello scippo che lo Stato sta tentando. All’art. 6 di quelle norme di attuazione si dispone che «sono trasferite alla Regione autonoma della Sardegna le attribuzioni già esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione ed attribuite al Ministero dei beni culturali ed ambientali nonché da organi centrali e periferici di altri ministeri». In sostanza tutto quanto riguarda il Paesaggio, con un’aggiunta: il trasferimento dei poteri alla Regione «riguarda altresì la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici».

Smemorati di Stato

Chiude l’arringa per la Regione l’avvocato Mattia Pani: «Abbiamo la piena consapevolezza di non essere più Regno di Sardegna, ma lo Stato si è totalmente dimenticato che siamo una Regione a Statuto Speciale di rango costituzionale». La guerra Stato-Regione è alla resa dei conti. Nei ricorsi di Palazzo Chigi i dettagli diventano un vero e proprio attentato all’autonomia della Sardegna. Documenti sinora “segretati” che diventano la prova evidente della longa manus dello Stato sulla Sardegna.

(1.continua)

© Riproduzione riservata