Si è conclusa ieri l’esperienza umana di Silvio Berlusconi, protagonista della vita imprenditoriale, politica, istituzionale e sportiva degli ultimi trent’anni.

Opere, ruoli istituzionali e stili di vita pubblica e privata saranno oggetto di studio per gli storici e, col tempo, verranno collocati nella giusta cornice, tra molte luci e pure qualche ombra, così come la sua storia di uomo, imprenditore e politico, scevra da opinioni, emozioni e partigianerie tipiche del momento nel quale le cose accadono.

Ho conosciuto Silvio Berlusconi nel lontano 1996, presentatomi da Giuliano Ferrara in occasione dell’ingresso di sua moglie Veronica ne Il Foglio, giornale fondato con Giuliano qualche mese prima.

Negli anni successivi, in Brianza e in Sardegna, fosse o meno in auge, nacque un rapporto confidenziale, tanto che quando tenne una conferenza stampa all’hotel Abi d’Oru con Putin, suo ospite nella vicina Villa Certosa, andando via prese un vassoio di ceramica che gli era piaciuto, non senza rassicurare il personale presente: “non preoccupatevi, la proprietà di questo hotel è di un mio amico”.

C’era un rapporto di stima reciproca. Apprezzava il fatto che non gli avessi chiesto né seggi parlamentari o sostegni alla mia attività imprenditoriale.

Aveva a cuore le sorti della Sardegna e mi offrì due volte la candidatura alla presidenza della Regione. 

Fui lusingato, come è umano e comprensibile. La mia risposta fu sempre la stessa: grazie, ma sono imprenditore, non politico.

Capii meglio la sua grandezza la seconda volta, quando mi disse qualcosa che non ho più dimenticato, qualcosa che solo una gran bella persona avrebbe potuto dire. Più o meno: “noi imprenditori abbiamo il dovere, a un certo punto della nostra vita, di impegnarci in favore della collettività con la competenza e l’esperienza maturate, mettendole con generosità a disposizione del pubblico interesse”.

Ne rimasi profondamente colpito. Riuscì, senza volerlo, a farmi sentire in colpa, ma ebbi conferma che lui credeva davvero nelle ragioni della sua discesa in campo: rompere gli schemi di una società bloccata da scorie ideologiche, in procinto di perpetuarsi, e diffondere la parola magica che tanti avrebbe affascinato: LIBERTÀ.

L’accezione pratica con cui la intese non risultò tuttavia apprezzata da tutti, come le cronache ci hanno raccontato, e molti guai ebbe a passare, per la soddisfazione dei suoi detrattori, dall’uso talvolta scomposto della sua, di libertà, che, si sa, non è disgiunta dall’obbedienza alla legge morale, per esempio. E anche alla legge penale, per quanto imperfetta, nel suo caso però applicata, per convincimento di molti, con due pesi e due misure.

Resta il fatto che Silvio Berlusconi ha avuto idee nuove e coraggiose, capaci di sovvertire schemi e paradigmi consolidati, nella qualità urbana come nella comunicazione televisiva, nella finanza come nello sport.

Ed è stato straordinario imprenditore di successo e protagonista politico atipico, nemico dello stucchevole “teatrino” offerto dai partiti, come diceva spesso, ma egli stesso consumato teatrante e inarrivabile creatore di consenso.

In nessun campo si sia cimentato ha accettato acriticamente “su connottu”, non fermandosi al giudizio dato prima, al pregiudizio, e non curandosi troppo dei maldicenti e malpensanti, consapevole di dover subire l’ostilità a prescindere di una parte della società.

Era un sognatore, e voleva cambiare il mondo in meglio, plasmandolo secondo la visione di autentico liberale, possessore della virtù della perseveranza nel perseguire gli obiettivi anche audaci.

Ha speso con generosità la sua intensa vita per famiglia, aziende e, in politica, per il suo Paese, incidendo sugli assetti nazionali con l’introduzione di bipolarismo, personalizzazione leaderistica nel marketing politico-elettorale e nei rapporti con i suoi omologhi internazionali; vere rivoluzioni introdotte in un sistema fino al suo arrivo statico, prigioniero di liturgie partitiche e diplomatiche autoreferenziali.

È venuto a mancare proprio quando il suo sogno di portare nello scenario europeo il modello di coalizione vincente in Italia avrebbe potuto essere realizzato, in coincidenza delle prossime elezioni europee.

L’alleanza tra Popolari e Conservatori in Europa, infatti, cui lavorava col Presidente Meloni, oltre ad imprimere una accelerazione in senso liberale alla politica europea, favorirebbe il consolidamento in atto del recupero alle istituzioni della parte politica erede dei nostalgici di un tempo che fu, storicamente emarginati, ingiustamente, nella vita politica nazionale. Con effetti benefici nel gioco dell’alternanza tra schieramenti contrapposti, tipico di una democrazia matura e consapevole, saldamente ancorata alle Istituzioni europee.

Non vedrà quel sogno realizzarsi, anche se sarà ricordato come l’originario promotore, fin dal 1994, quando riuscì a mettere insieme partiti e sensibilità politiche e personali confliggenti, fino all’attualità.

Era un uomo volitivo e dinamico e si faceva trascinare facilmente dalle passioni, capace di godersi fino in fondo le emozioni che a quelle si accompagnano, nel bene e nel male.

Avrebbe voluto cambiare in meglio tutto, compresa la Sardegna.

Amava la nostra Isola, della quale conosceva sofferenze e disagi patiti, sorprendendomi talvolta per la conoscenza approfondita di temi cruciali quali paesaggio e ambiente, continuità territoriale e divario infrastrutturale, e molto fece da capo del governo, come riportato qualche giorno fa da L’Unione Sarda.

Era un rivoluzionario intelligente, e di animo gentile, incapace di far del male ma abile e deciso nel tentare di modificare pacificamente l’ordine costituito, facendo sentire protagonisti della rivoluzione liberale milioni di persone.

Ha lasciato traccia duratura del suo passaggio nella vita terrena, e rimarrà nella memoria e nel cuore di milioni di persone.

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