La grande sete dell'ultimo anno è giusto un assaggio di ciò che aspetta la Sardegna, terra che, come gli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, subisce e subirà gli effetti più pesanti del cambiamento climatico. «Non si tratta più di un evento straordinario, dobbiamo cominciare a considerarlo nella norma e pensare che non potrà che andare sempre peggio», avvisa Pier Paolo Roggero, già direttore del dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari.

Le ondate di calore, i lunghissimi periodi di siccità, le piogge violente «in Sardegna ci sono sempre stati, ma il punto è che oggi sono sempre più ricorrenti. Non abbiamo alternative: dobbiamo adattarci, creando le condizioni per cui, anche in una situazione di crisi come quella attuale, si riesca a erogare l'acqua».

Attualmente in Baronia e in bassa Gallura lo stop alle irrigazioni dura da gennaio e, mentre l'emergenza idrica rischia di precipitare nei problemi di ordine pubblico, le ulteriori restrizioni imposte giorni fa per le case coloniche e le strutture ricettive fuori dai centri abitati sono state sospese per una settimana.

Al vertice convocato in Regione dalla presidente Alessandra Todde con i sindaci del territorio e i rappresentanti degli enti dell'acqua si è parlato di ripristino dei pozzi e dei laghetti collinari, di interconnessioni e di lavori per contenere l'enorme spreco lungo le condotte, il 51,3% della risorsa erogata.

Ma gli interventi da mettere in atto sono indicati nero su bianco nelle pagine della "Strategia regionale di adattamento al cambiamento climatico", studio messo a punto nel 2019 dal comitato scientifico (Atenei di Cagliari e Sassari, tra i componenti anche Pier Paolo Roggero) con l'assessorato all'Ambiente. La Sardegna è stata tra le prime regioni in Italia a dotarsi di un piano.

Piera Serusi

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