Gabriele Murgia avrebbe compiuto ieri 19 anni. È morto, appena maggiorenne, 10 mesi fa a Cagliari.

Diciannove anni mai raggiunti, allontanati per sempre da un cuore che si arresta, in un corpo invaso dall'incrocio chimico di psicofarmaci e droghe.

«L'ho detto alla messa – ricorda Barbara Mura, la madre – non voglio che mio figlio venga considerato un drogato qualunque». Perché Gabriele rivela, nella sua breve vita, tante esistenze multicolori come i vestiti che indossava, e il nero di quel sipario che si chiude in un pomeriggio del 4 febbraio è il pigmento meno frequente.

«Fin da piccolo era più avanti degli altri, più intelligente, appassionato della natura». È quasi una febbre per lui conoscere ogni aspetto degli animali. «Lo ricordo disegnare i rettili – continua Barbara – e sotto scrivere le loro caratteristiche».

Certo, è testardo, e fargli assumere medicinali rappresenta una lotta. «Lo tenevamo fermo per farglieli inghiottire. Adesso sembra impossibile se penso a come è morto». Si entusiasma giovanissimo per il soft air, disciplina in cui si simulano azioni militari con armi finte, le stesse che utilizzerà tempo dopo nei suoi video trap. La musica che sarà colonna sonora degli ultimi anni e marcia funebre. «Prima però c'è stato il Covid. Era ansioso e gli ho visto addosso la paura».

Pian piano si chiude, prova la trasgressione delle sigarette, cambia scuola, evade in pigiama dal coprifuoco pandemico. Sembra il tempo della muta adolescenziale, fino alla rivelazione. La scoperta «Con mio marito scopriamo che il suo armadio è pieno di medicine. "Le vendo e basta", ci risponde». Ci sono sciroppi a base di codeina, poi oxycodone, xanax, quella "cantina" farmacologica citata dai trapper come additivo alla vita». 

Emanuele Floris

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