È dura ritornare a lavorare dietro un bancone del bar, specie quando si perde una persona che ha riempito la nostra quotidianità. Marzia Uleri, 45 anni, gestisce un locale in via Fattori, a Porto Torres, proprio davanti all’abitazione dei suoi genitori.

Da quella casa ogni giorno vedeva arrivare il padre, Costantino morto di Covid all’età di 72 anni. Una carezza, un sorriso, poi la paura e la stretta al cuore, fino al dolore immenso. Era il 20 gennaio 2021 quando morì all’ospedale San Francesco di Nuoro, dopo un primo ricovero al Santissima Annunziata di Sassari il 7 novembre 2020.

Il virus lo aveva contagiato, poi le complicazioni della malattia, la scelta dei medici di intubarlo e il 26 novembre il trasferimento a Nuoro. Da quel triste giorno sono ormai trascorsi quattro anni. Una storia che ritorna nella Giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia del coronavirus.

«Lo ricordo scendere le scale prima di salire sull’ambulanza. Dal momento del ricovero non ho più visto mio padre, due mesi e mezzo senza poterlo neppure confortare. Era lui che ci chiamava al telefono per tranquillizzare noi. Era un uomo superattivo, si preoccupava per noi, per ogni istante della nostra vita è stato sempre disponibile».

Prima autista e in seguito camionista fino alla pensione, ha vissuto con un forte attaccamento alla famiglia. «I medici chiamavano tutte le sere, qualcuno era più empatico, più umano, qualcun altro meno sensibile. Una cosa surreale, un incubo, una condizione di incertezza costante», racconta Marzia.

«Non faceva altro che ripetere agli infermieri che doveva tornare a casa per riabbracciare il suo unico nipotino, che all’epoca aveva solo 4 anni, il suo pensiero era rivolto a lui, alla moglie e ai suoi tre figli». Per i familiari solo un senso di impotenza e di dolore. La situazione, però, sembrava peggiorare, un polmone era già fuori uso e l’altro funzionava a metà. E poi le infezioni contratte nel reparto di terapia intensiva, la possibilità di un ulteriore spostamento all’ospedale Mater di Olbia per iniziare la riabilitazione.

«La cosa che più mi ha distrutto è il non essere riuscita mai a vederlo nei tre mesi della malattia», riprende Marzia. C’era mancato poco a Capodanno, durante una visita al San Francesco di Nuoro. «I medici ci impedirono la visita, ogni contatto poteva essere pericoloso, c’erano dubbi sulla immunità». Si ritorna a casa sopraffatti dalla tristezza. «Essere lì a due passi e non riuscire neanche a dargli una carezza. Una sensazione che mi tormenta ancora». E poi le domande di chi vive con un senso di colpa, anche senza ragione.

«Forse mio padre non aveva bisogno di essere intubato, i dubbi restano, interrogativi a cui non so trovare risposta». Restano i suoi ricordi, il bisogno della sua presenza e la voglia di mantenere viva la sua memoria. Lo sguardo si volta spesso verso la parete del bar Mami Cafè, a cercare il ritratto di suo padre Costantino, disegnato dall’artista Massimiliano Masia, su una Sardegna in marmo, realizzata da Mario Ravotti, e una scritta con i girasoli che «mio padre adorava» a cura di Luca Zarelli.

Un omaggio, importante quanto il monumento inaugurato nel cimitero di Balai, condiviso con le amiche Rosalia Maimone, ideatrice dell’opera di marmo di Orosei, e Deborah Corda, con le quali ha condiviso l’idea di rendere onore ai propri cari.  

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