Sioux, per il mondo della boxe, Emanuele Blandamura per chi lo ha visto combattere nella vita. Come gli indiani d’America, pronti a difendere dignità e diritti.

Nato a Udine nel 1979 ma romano d’adozione, l’ex campione europeo dei pesi medi, fuori dal ring non ha raccontato di palestre polverose e di arene gremite, ma una storia fatta di pugni, la sua esistenza complicata, la sua battaglia personale, il suo riscatto.

Lo ha fatto davanti ad una platea di studenti, riuniti nell’Auditorium del Liceo scientifico sportivo M. Paglietti, a Porto Torres, per un “Incontro col campione”, la fase finale del progetto “Boxing for change”, un programma di respiro internazionale organizzato dalla Federazione italiana pugilato con la collaborazione della “Boxing Club A.Mura”.

Dal ring alle scuole con l’obiettivo di favorire, attraverso la pratica del pugilato, la formazione, l’inclusione e l’integrazione sociale dei giovani studenti nel pieno rispetto delle pari opportunità. Prima bullo della periferia romana, ora maestro di vita, che combatte il bullismo, la prevaricazione tra i ragazzi, da vero ambasciatore della Fpi per trasmettere i valori della vita e della boxe.

«Non c’è scritto da nessuna parte come si fa a diventare campione. Non si nasce campioni, si diventa, con passione e impegno. Non è stato facile, ma ci sono riuscito, così anche voi dovete imparare a combattere, a cadere e a rialzarvi, credendo in voi stessi».

Ottanta incontri, più da boxeur professionista che da dilettante. Dal titolo di campione internazionale, a campione dell’Unione Europea e d’Europa, e ancora vice campione del mondo e un titolo italiano ad honorem, per aver vinto tutti i match contro gli avversari nazionali. Un’impresa. Nonostante le mille montagne da scalare.

La più difficile è stata l’abbandono dei genitori all’età di 10 mesi che segnerà la sua vita. «I miei due eroi, i miei principali idoli sono stati i miei nonni, mi hanno adottato salvandomi da una vita impossibile». Per Emanuele l’ancora di salvezza, anche quando a 18 anni tenta il suicidio.

Lo racconta con coraggio, agli studenti, davanti al sindaco Massimo Mulas, all’assessora allo Sport, Gavina Muzzetto, al dirigente scolastico Daniele Taras, al presidente del Boxing Club, Luciano Mura, al tecnico Isidoro Tinteri e al direttore sportivo Tonino Solinas. Raccoglie l’attenzione delle ragazze e dei ragazzi delle classi terze del Liceo sportivo coinvolti nel progetto curato dall’insegnante coordinatore, Pietro Nughes. «Portate con voi quello che fate oggi, e se volete guardare al presente,  volgete lo sguardo a quello che avete fatto in passato, se invece volete guardare al futuro raccogliete il presente».

Per un campione che apre la sua vita agli altri «bisogna imparare a cogliere i messaggi positivi, creando dei filtri contro tutto ciò che vi è di negativo, dagli influencer ai tik toker, dai giudizi negativi ricevuti da insegnanti e adulti, per riuscire a creare la vostra identità, perché per esistere bisogna essere unici, nei vostri progetti, nella vostra missione». Ma è quando si scende dal ring inizia la vita vera, si cresce attraverso le problematiche, si affrontano gli ostacoli. «Piuttosto che essere come tanti, impariamo ad essere noi stessi, piuttosto che inseguire la mediocrità alziamo il valore», è il messaggio di Blandamura. «Sforziamoci per essere la migliore versione di noi stessi. L’unica via che porta ad un obiettivo è perseguirla, salita e discesa, se si cade non fa niente, ci si rialza, si va avanti».

Così come ogni tappa della vita di un campione, come il Sioux che ha dato un senso compiuto alla sua. Prima tra i mille lavori per permettersi di salire sul ring e coronare un sogno, uno dei tanti. Poi per rispettare le promesse fatte a nonno Felice, morto nel 2014, a cui ha voluto dedicato il titolo di campione d’Europa, conquistato nel 2016. Emanuele nel 2018 è di nuovo sul ring, questa volta davanti ai genitori, per cercare di ritrovare quel legame che si era spezzato a pochi mesi dalla nascita. Come sa fare un campione, nello sport come nella vita.  

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