Giulia Cecchettin, una studentessa, una figlia, un’amica di tutti, un simbolo della bellezza d’animo e dell’altruismo. Questa la sua eredità.

Ieri sera, domenica 7 luglio, una delle tappe a Porto Torres del festival Entula, nell’Atrio Metropoli all’ombra della basilica di San Gavino, si è radunato un grande pubblico per assistere alla presentazione del libro “Cara Giulia - quello che ho imparato da mia figlia” con l’autore Gino Cecchettin che ha dialogato con il giornalista Gianni Garrucciu, un testo scritto con Marco Franzoso.

Nel libro il dramma di un padre, il dolore per la perdita di Giulia, una ragazza speciale uccisa a 22 anni dal suo ex fidanzato Filippo Turetta, una famiglia già colpita da un grave lutto, la morte di Monica nel 2022, moglie di Cecchettin, e il tema della violenza maschile contro le donne, i valori trasmessi ai giovani.

«Giulia si sarebbe dovuta laureare proprio il giovedì di quella terribile settimana», racconta il padre «una laurea sudata con buoni voti, il sogno di ogni genitore. Invece quella settimana si è trasformata in un incubo».

Uccisa sabato 11 novembre, il suo corpo è stato rinvenuto il 18 nei pressi del lago di Barcis, in provincia di Pordenone. «La mattina di lunedì 13 ho sperato che fosse successo un incidente, perché sapevo che l’altra opzione sarebbe stata peggiore. Col passare delle ore ho capito che non avrei più rivisto Giulia. Quel giorno ho pianto più che mai».

Una tragedia che lascia traccia nel cuore del padre, della sorella Elena e del fratello Davide. «Ho scritto questo libro per Giulia, grazie al suo insegnamento ho capito che dovevo creare qualcosa dal dramma. Ogni genitore vuole sopravvivere ai propri figli, ma a me non è stata data questa possibilità. Ecco perché ho deciso di scrivere».

Ben 23 giorni prima del funerale. Un tempo lunghissimo.

«In queste tre settimane ho capito che Giulia era diventata la figlia di tutti, con la sua semplicità era entrata in tutte le case. Dopo il grande dolore avevo pensato di chiudermi in casa per soffrire in solitudine. Invece la presenza di diecimila persone al funerale con in mano le chiavi che facevano tintinnare, ho capito che Giulia era diventato un simbolo. Un dono che mi ha spinto a fare qualcosa per le ragazze e le donne vittime di violenza».

La Fondazione Giulia, che Cecchettin sta promuovendo avrà questo obiettivo.

«Fare qualcosa perché anche una sola Giulia venga salvata», prosegue, «mettendo a disposizione la mia esperienza di genitore, raccontare di Giulia che non si era accorta di subire violenza, ma pensava di essere lei a procurare dolore a Filippo. Era consapevole che quello non era l’uomo della sua vita, così aveva deciso di cambiare strada. Un suo diritto che ha pagato con la propria vita».

La sorella Elena Cecchettin è stata la prima a parlare dell’origine del male che interessa diversi uomini, il possesso, la violenza psicologica e la mancanza di libertà subita da molte donne. La risposta del padre Gino non è stata la rabbia o la vendetta. «Giulia con il suo altruismo mi ha insegnato a non rispondere con la violenza. Lei creava valore».

Un’altra lezione è arrivata da un sacerdote, il parroco di Vigonovo “Don G.” che gli ha indicato la strada per affrontare l’immenso dolore per la perdita della figlia.

«Non sono credente, ma condivido il bene ed ho imparato a rispettare gli altri. Il parroco di Vigonovo, che ho conosciuto quando ha visto che mi ero ridotto ad uno straccio, mi ha invitato ad affrontare un percorso a piedi e da buon camminatore, abbastanza competitivo, ho accettato. Sulle Dolomiti abbiamo cominciato la camminata con il freddo e il grigiore del cielo. Raggiunta la vetta abbiamo visto il sole, la luce splendente, uno spettacolo».

Una metafora di vita, il significato di come cambia la nostra esistenza: dal malessere alla speranza di vita.

Un racconto ricco di emozioni, di grande suggestione, culminato con un brano dedicato a Giulia, scritto e cantato dall’autore, Antonio Meleddu (in arte Bandito), insieme a Daniela Cossiga. 

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