Hanno una fretta dannata, come se dovessero portar via il proscenio dell’Oasi del Cervo prima che qualcuno se ne accorga. Dai prossimi giorni, però, nonostante il generale Ferragosto incomba anche sulle campagne, non sarà facile passare inosservati. Migliaia di pilastri d’acciaio sono già conficcati alle pendici del Parco di Gutturu Mannu, anello di congiunzione tra la città metropolitana di Cagliari e il Sulcis. Monte Arcosu, che su quelle terre si staglia come un gigante verde, non è semplicemente un’oasi protetta.

Oasi primato

Gli annali non sfuggono al primato: in quella riserva c’è la più vasta estensione di macchia-foresta e foresta mediterranea d'Europa. Niente, però, ha impedito ai forestieri del “pannello” di smantellare di punto in bianco una distesa di terra agricola, che solo per ingordigia industriale era stata perimetrata all’interno di una zona di Macchiareddu. Il bestiame che vagava in quelle terre è rinchiuso in un cantuccio, all’interno di un ovile di botto trasformatosi in “maneggio” per galline. Da queste parti, su quei campi che costeggiano il primo rettilineo pianeggiante della Pedemontana, l’arteria viaria che costeggia Monte Arcosu sino al Castello di Acqua Fredda a Siliqua e Gioiosa Guardia a Villamassargia, non si danno pace. Ci passi di venerdì sera e li trovi armeggiando. Ci ritorni di sabato e stanno conficcando pilastri d’acciaio sul terreno. Non si risparmiano nemmeno la domenica, come se un pannello solare in più valesse una messa. Non hanno tempo da perdere, del resto sono venuti da lontano, e non hanno intenzione di soggiornare a lungo in terra sarda.

Alpi e Dolomiti

Per far impallidire quell’orizzonte che si staglia sulla porta dell’Oasi di Monte Arcosu hanno dovuto percorrere le Alpi abruzzesi e persino le Dolomiti. Sembra surreale, ma al cospetto di Uta e Assemini, le imprese titolari dell’assalto arrivano dall’altra parte del Tirreno. Quando ti avvicini al cartello di inizio lavori, sbiadito da un pennarello volutamente consumato e una scritta stremata dalla calura che incombe, ti guardano con il sospetto che glielo voglia rubare. Non accadrà, lì era e lì è rimasto, a scandire nomi e cognomi, imprese e società, pronte a mettere in opera quel progetto scandito da un epitaffio impresso nelle prime righe di quel cartello tanto sconcio quanto illeggibile. Recita senza orpelli: «realizzazione impianto fotovoltaico e infrastrutture connesse». La proprietà è tutta una sigla: E.E.C. Solar 2, quasi una vendetta. La provenienza non è ignota: Pescara, via Caravaggio 125. Una delle infinite scatole cinesi che compongono lo scacchiere “straniero” venuto in Sardegna a “far sole” e incentivi. Una valanga di regali di Stato elargiti a mani basse a chiunque si affacci sulle rive dell’Isola-colonia per piazzare ciclopiche pale o sconfinate distese di pannelli fotovoltaici.

Tutto in famiglia

Gli abruzzesi in missione alle pendici di Monte Arcosu non hanno lasciato niente al caso. L’impresa incaricata di piazzare i catalizzatori di sole non è originale, né nel nome, tantomeno nella residenza fiscale: Cantieri Italiani, via Caravaggio 125, pur sempre Pescara, nella stessa identica sede del proprietario dell’opera solare. Come dire produttore e consumatore. Come supporto di cantiere hanno scelto niente meno che la Dolomiti Ambiente, un nome tutto un programma.

Doppio colpo

L’operazione, però, è ben altro che un semplice campo solare. Il progetto è ciclopico. Il cantiere appena iniziato potrebbe sfiorare i cento ettari di pannelli fotovoltaici, una dimensione capace di devastare qualsiasi angolo di Sardegna, figuriamoci un proscenio così delicato come quello a ridosso di Monte Arcosu. Se i cartelli indicano solo una società impegnata in questo progetto, le delibere della Giunta regionale che hanno autorizzato questo schiaffo ambientale, sono due, quasi ad apporre un sigillo ufficiale allo spezzettamento del progetto, magari con l’obiettivo di evitare la Valutazione d’impatto ambientale nazionale.

Primo assalto

Il primo assalto riceve la prima autorizzazione il 4 settembre del 2020, la delibera è la 44/46. A proporlo è la E.E.C. Solar, una società a responsabilità limitata con appena diecimila euro di capitale versato. L’operazione ha una fissa dimora: “Impianto fotovoltaico a terra da 51,66 MWp in zona industriale di Macchiareddu - Località “Salto di Uta” e “Pranu di Assemini”.

68 ettari di silicio

La giunta regionale sarda non si fa tanti scrupoli e sentenzia: progetto approvato senza sottoporre il progetto all’ulteriore procedura di valutazione d’impatto ambientale. Non si tratta di un campetto di calcetto, ma di ben 68 ettari. Il secondo colpo basso alle terre tra Uta e Assemini, in località Barraca, viene assestato appena due mesi dopo, come se la memoria di quello appena approvato fosse svanita in sessanta giorni.

Solar 2, la replica

La giunta regionale mette nero su bianco il via libera al progetto di “E.C.C. Solar 2” il 18 novembre del 2020. Un’istanza approvata quasi a tempo di record, visti i tempi della Regione. La pratica, presentata il 27 maggio del 2020, nemmeno sei mesi dopo l’assalto numero due, va in porto. In questo caso altri 30 ettari di pannelli fotovoltaici che sommati all’altro progetto diventano la bellezza di 98 ettari di silicio da distendere su quel terreno come se non ci fosse un domani. L’obiettivo è dichiarato: mettere insieme 70 megawatt di potenza elettrica e una valanga di incentivi. Hanno talmente fretta di conquistare a suon di pannelli le pendici dell’Oasi che si sono pure dimenticati che la società dichiarata come titolare dell’intervento, la “E.C.C. Solar 2”, risulta persino inattiva. Non un dettaglio, visto che in quel cantiere sono dichiarate opere in esecuzione per 16 milioni di euro. Un dato è certo quei due progetti, formalmente separati, appartengono tutti alla famiglia Maresca, una S.p.A abruzzese con una valanga di microsocietà da diecimila euro di capitale sparse un po’ ovunque con altri addentellati anche in terra sarda.

I figli della Lupa

Non ha niente a che vedere con gli abruzzesi la “Diomede srl”, la società dirimpettaia di questo primo scempio ambientale nelle aree a ridosso dell’Oasi del Cervo. Arrivano da Roma, e a differenza dei loro vicini hanno scelto la procedura più ostica, quella della valutazione di impatto ambientale. Ad impeto coloniale, però, non sono da meno a nessuno. Per loro nuraghi e siti archeologici sono suppellettili da azzerare a colpi di pannelli e ferraglie, nonostante il parere degli stessi archeologi che hanno firmato il piano. In quei 220 ettari di silicio che pensano di conficcare sul versante laterale di Monte Arcosu il rischio archeologico è dichiarato massimo, ma la nuova calata non conosce ragioni. Il progetto è in dirittura d’arrivo al ministero della Sicurezza energetica che come orpello chiamano ancora dell’Ambiente. In questo caso ci sono già alcuni pareri espressi. Totalmente contrario quello del Comune di Uta.

Contrari, a metà

In ordine sparso il parere della Regione. In alcuni casi si registrano assessorati contrari, in altri prevale l’attendismo. Un dato è certo: sulla nuova invasione fotovoltaica la Regione da una parte approva lo scempio e dall’altra procede a tentoni. Quella distesa di pannelli che sta per sorgere su quel promontorio sarà un vero e proprio sfregio all’Oasi del Cervo e all’Isola del sole. Di quell’energia alla Sardegna non resterà niente, solo devastazione ambientale e paesaggistica.

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