Il dirigente del reparto di Terapia del dolore, Tomaso Cocco, è considerato dagli inquirenti una delle colonne del sistema smantellato dalla Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, con i 31 arresti effettuati ieri. 

Nella ricostruzione delle indagini riportata nell’ordinanza del Gip del Tribunale, Michele Contini, il suo nome compare più volte, associato a vari capi d’imputazione che hanno comportato la custodia cautelare nei suoi confronti. Nel provvedimento però è riportata anche una serie di comportamenti emersi dalle intercettazioni «la cui illiceità necessita di essere verificata documentalmente con indagini successive» che descriverebbero la natura «reale della personalità criminale» del medico. 

Aprile 2020, il Covid stava rinchiudendo in casa gli italiani e gettava nel caos gli ospedali. I pazienti che si rivolgono alla Terapia del dolore sono «disperati» e spesso avevano delle visite fissate come “urgenti”. Ma per gli inquirenti venivano «artatamente dirottati verso prestazioni in intramoenia, più remunerative». E più rapide. Comportavano un lavoro maggiore ma anche un guadagno ben superiore per Cocco che «in quel periodo doveva far fronte a maggiori spese» con le quali si era trovato ad avere a che fare. «Quattro mesi, poi riduco», avrebbe detto al telefono, «perché non me ne fo..e più un ca..o, ma ho cose da pagare». 

Nessuno spirito di servizio, scrive il Gip, «solo un’esigenza meramente economica». A giugno il medico riferisce con soddisfazione alla madre di aver effettuato un buon numero di visite in intramoenia, che gli avevano fruttato 1.050 euro. E per una giornata successiva ne aveva ben 17. Spiega anche che alcune infermiere hanno accettato di far parte del gioco, dirottando i pazienti sulle visite a pagamento. In cambio, si legge,  potevano tenere tutti i regali che venivano portati in ospedale. 

 La «spregiudicatezza dell’indagato», scrive ancora il Gip, emerge anche in occasione del suo contagio da Covid: aveva un’alta carica virale ma decise di violare l’obbligo di isolamento, allora ferreo, per andare in supermercati e centri commerciali. Per questa vicenda era stato indagato ed era stato anche aperto un procedimento disciplinare. Affidato, però, «non casualmente» a una sua amica.  

Stando a quanto emerge dalle carte, Cocco  sembrava trattare il Binaghi come un luogo che poteva gestire un po’ da padrone, tra spuntini e incontri segreti.  

E metteva le sue competenze mediche a disposizione della branca orgolese della banda. Aveva anche redatto una perizie che doveva portare alla scarcerazione di un amico dei sodali. Ma il giudice per l’esecuzione l’aveva bollata come poco credibile. Intanto, però, si era offerto anche di fornire i suoi servigi per dichiarare lo stato di salute del latitante Graziano Mesina incompatibile con la detenzione. Cocco, stando a quanto emerge, sapeva chi copriva l’ex primula rossa: i suoi amici, poi arrestati assieme a lui. Ai quali durante la pandemia ha anche fornito mascherine contro il virus, mentre sul mercato non se ne trovavano. Erano presidi dell’ospedale, comprati con soldi pubblici. 

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