«La Sardegna è una terra accogliente, di incontro vero dove ho trovato tanta intelligenza e disponibilità». Le parole del cardinale Matteo Maria Zuppi, pronunciate da un treno che lo sta riportando a Bologna, chiudono 23 minuti di conversazione in cui parla della Chiesa e del messaggio che oggi il presidente della Conferenza episcopale italiana lancerà in occasione della Pastorale del turismo a Tortolì. Un messaggio di speranza e responsabilità nelle scelte, da fare oggi per domani e per le generazioni che verranno.

Cardinale, quello che è accaduto nei giorni scorsi a Civitanova Marche ha colpito molto l’opinione pubblica. Si può assistere a tanta violenza senza far nulla?

«Bisogna tenere conto di tanti fattori ma certamente dobbiamo condannare l’attitudine alla violenza. Il non intervenire, è qualcosa che è durato troppo tempo. Tutti quanti noi ci siamo abituati ad assistere e pensare che non possiamo fare niente. Queste esplosioni di violenza non sono soltanto frutto di solitudine e irrazionalità, come per tanti femminicidi, non possiamo mai abituarci. Dobbiamo abbassare i toni ed essere vigili nell’aiutare gli altri, avere pietà per la persona uccisa, per la sua famiglia, per il bambino, non dobbiamo mai perderla, per tutti, chiunque sia, senza se e senza ma, e senza che assuma altri significati».

È appena caduto il Governo: lei ha detto che questo sarà un problema per i più deboli e chi patisce le diseguaglianze.

«Sicuramente servono provvedimenti da prendere in fretta. Siamo portati a pensare sempre che ci sia un’altra opportunità. Questo è un momento decisivo, se facciamo o no delle cose porterà a delle conseguenze, quindi speriamo che i provvedimenti d’interesse nazionale ed europeo e comuni a tutti non vengano messi in discussione e possano trovare le soluzioni adeguate anche nei tempi. Si paventa tanta preoccupazione per l’autunno e i dati Istat, non i sondaggi, parlano di 6 milioni di persone in povertà, questo ci impone di prendere decisioni».

Papa Francesco, di ritorno dal Canada, in vista delle elezioni, ha fatto un appello alla responsabilità.

«Certo, è l’indicazione della Chiesa e credo sia importante per chi deve scegliere e chi deve rappresentare i cittadini. Non è una delega in bianco. Più c’è interesse, attenzione e partecipazione e più i politici potranno svolgere il proprio ruolo in maniera alta, guardando al futuro. Si pianta oggi quello che servirà domani o dopodomani. Qualche volta tutti noi vogliamo il bonus, incassare subito, invece dobbiamo vedere quello che va oltre noi, sapendo fare della pandemia un motivo di crescita».

La Sardegna vive il paradosso di essere l’isola delle vacanze, ma anche soffriamo di grandi diseguaglianze e nei giorni scorsi è stato finalmente inserito in Costituzione il principio di insularità. Cosa ne pensa?

«Questi principi sono decisivi, se ci abituiamo alle diseguaglianze è pericoloso per tutti, non solo per chi resta indietro ma anche per chi va avanti. Le pandemie ci hanno ricordato che ci siamo troppo abituati alle diseguaglianze, conviene a tutti una perequazione. Se il provvedimento va nel senso di garantire più opportunità a chi ne ha di meno, secondo quella saggia indicazione di don Lorenzo Milani che non c’è niente di più ingiusto di dividere la torta in parti uguali tra chi non è uguale, significa avere più attenzione verso chi ne ha meno».

Il Papa parla spesso di temi ambientali, centrali oggi per il futuro.

«La centralità della riflessione di Papa Francesco è sempre la persona e quindi è chiaro che l’ambiente, che noi possiamo distruggere o conservare, determina il fatto che la vita diventi possibile o impossibile. Anche qui abbiamo segnali evidenti che cerchiamo di non leggere e reagiamo solo in termini emergenziali, ma le scelte devono diventare continuative, strutturali, di trasformazione, di fondo. Si tratta di capire che c’è un interesse maggiore di sopravvivenza, e quindi per la vita, e non solo per noi ma anche per chi viene dopo».

La Sardegna soffre di un problema di spopolamento, la Chiesa come può intervenire?

«Il problema della denatalità è importantissimo, nessuna generazione prima di noi aveva tante possibilità e allo stesso tempo viviamo in una condizione di mancanza di fiducia e precarietà, paura, incertezza del futuro, che mette più angoscia che speranza. La Chiesa è preoccupatissima ma come lo è anche il mondo imprenditoriale che deve fare i conti con la mancanza di manodopera. Il Forum delle famiglie ha adottato alcune proposte e l’assegno unico ci sembra un’indicazione importante».

La Chiesa sarda, visto anche lo spopolamento, va verso un accorpamento delle Diocesi?

«Non è un problema solo della Sardegna ma di tutta Italia e bisogna trovare un punto di equilibrio. C’è lo spopolamento, c’è la riduzione del clero, non possiamo pensare di vivere con una geografia ecclesiastica che però è anche la nostra storia e che è quella che garantisce tanta vicinanza, prossimità. Papa Francesco disse alla Cei: guardate che siete troppi; poi qualche tempo dopo ci disse: capisco le difficoltà perché qualcuno mi scriveva: “Come facciamo, che se va via il vescovo qui non rimane più niente”. E il vescovo garantisce più familiarità e un’idea di Chiesa meno istituzionale e più di prossimità, che è indispensabile per le relazioni di comunità. Per cui si tratta di trovare un equilibrio tra queste due esigenze».

La Chiesa sarda vive un momento particolare con la nomina di monsignor Baturi a segretario della Cei e monsignor Miglio che diventa cardinale.

«Sicuramente è un grande riconoscimento per tutta la Sardegna e per la vostra Chiesa. Monsignor Baturi dovrà fare il doppio lavoro e gli si dovrà stare particolarmente vicini perché ha una responsabilità importante sia a Cagliari che a livello nazionale ma sono certo che lo farà bene perché ha una Chiesa che lo aiuterà e gli starà molto vicina».

Oggi parlerà di informazione e disinformazione.

«Sarà un messaggio sia per chi produce informazione che per chi ne usufruisce, qualche volta le cose si confondono con la digitalizzazione perché ciascuno di noi comunica quello che si vive. Però il messaggio è di aiutare una comprensione profonda, non estremizzata che sappia sempre essere rispettosa della persona e anche nel linguaggio non ceda mai all’odio e all’istigazione. I semi dell’odio e della divisione generano altro, per cui l’informazione ha una grande responsabilità.

Chi produce informazione qualche volta corre dietro a chi la usa e questo è un meccanismo che può diventare perverso al ribasso, invece bisogna crescere utilizzando questo strumento per aiutare la conoscenza dell’altro e imparare a vivere insieme».

Giuseppe Deiana

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