Il dossier è secretato. Inutile forzare gli archivi di Stato. La prima Repubblica non lasciava tracce. Figuriamoci se a tessere le fila era il Belzebù nazionale, quel Giulio Andreotti, istrione, imperscrutabile, inaccessibile, misterioso, occulto, oscuro e segreto. I rapporti dei “servizi”, americani e inglesi, lo descrivono come uno capace di intrattenere rapporti con mezzo mondo, senza mai lasciare una sola impronta digitale al suo passaggio. Tratta occhi su occhi con il Papa, con il Presidente degli Stati Uniti, gestisce in presa diretta un apparato parallelo di intelligence, inviati nei paesi più sperduti, per trattare di tutto e di più, persino l’acquisto di uranio arricchito, quello per costruire la bomba atomica italiana. I documenti di cui siamo entrati in possesso vanno ben oltre quelli con il sigillo di Stato. Ci sono gli appunti manoscritti di Presidenti della Repubblica, che suggeriscono caldamente di costruire navi armate di missili nucleari, ci sono le lettere personali che si scambiano, attraverso i postini di Palazzo, i Ministri con il Presidente del Consiglio.

Codice rosso

Carte delicate, da codice rosso. Una partita delicatissima, da tenere segreta, lasciando all’oscuro sia le diplomazie alleate che il parlamento. E’ una storia di spie, di guerrafondai e di servizi segreti, con la Sardegna pervicacemente al centro di una delle più controverse storie internazionali di quel Paese chiamato Italia. Lo scontro che si sta consumando tra Stati confinanti non finisce su facebook, i personaggi sono tanto scafati quanto diffidenti. E’ il 1957. Esattamente il 28 novembre. I governi di Francia, Italia e Germania firmano in gran segreto un accordo per dotarsi di un deterrente nucleare comune. In pratica vogliono una loro bomba atomica. Tutti d’amore e d’accordo per conquistare il proscenio nucleare delle super potenze.

L’idillio finito

L’idillio, però, dura il tempo dell’avvento all’Eliseo di uno dei più spregiudicati sovranisti francesi, il Presidente d’oltralpe Charles de Gaulle. E’ lui che manda in frantumi quell’intesa. La Francia ha l’orticaria innata per la condivisione militare con i paesi confinanti. Il piano nucleare salta per aria. Ieri come oggi, non sembrano nemmeno passati 65 anni, la sfida è fatta di deterrenza. “Tu ti armi, io mi armo”, è regola non scritta, ma sempre perseguita. All’inizio degli anni sessanta il Bel Paese è circondato da nazioni che si accingevano a costruire letali armi nucleari, tra tutti la Jugoslavia e la Romania, versante sovietico. Le diplomazie militari li considerano pericoli veri. Nonostante la Costituzione avesse scolpito il principio che l’Italia “ripudia” la guerra, nel sottobosco politico, Generali, servizi segreti e quant’altri non rinunciano al “sogno” di una forza “atomica” d’attacco, spacciata come deterrente.

Olocausto d’Europa

Del resto, dopo che l’Unione Sovietica aveva messo a segno il test della prima bomba atomica sovietica, gli strateghi militari sostenevano a gran voce che la minaccia di un olocausto in terra d’Europa andava contrastato senza mezze misure. Pane al pane, vino al vino. Fallita la missione di mettere insieme l’Italia, ancora devastata dalla guerra, la Francia e la Germania, al governo italiano di Amintore Fanfani non restò altra strada che trattare direttamente con l’amministrazione statunitense del Presidente Eisenhower. L’accordo non fu “onorevole”. Gli americani “decisero” che gli italiani sarebbero stati guardiani “in seconda” di trenta missili Usa PGM-19 Jupiter, posizionati nella base aerea di Gioia del Colle, in Puglia. Definirle bombe atomiche italiane era come sostenere che il Colosseo fosse americano. In realtà gli italiani, quelle bombe, non le potevano neanche vedere, figuriamoci toccare.

Yankee, bye bye

L’Italia a quel punto chiese a Washington di sostenere la conversione sperimentale dell’incrociatore Giuseppe Garibaldi in lanciamissili, in grado di trasportare testate nucleari ad una gittata di circa 4.000 chilometri. Gli Yankee, però, per distendere i rapporti con l’Unione Sovietica, dopo la crisi dei missili a Cuba, decidono di “mollare” le ambizioni atomiche dell’Italia. E’ a quel punto che nei palazzi di Roma arde l’idea di autoprodursi missile e bomba atomica. Generali, guerrafondai e politici navigati decidono di parlare con Luigi Broglio, l’ingegnere padre dell’astronautica italiana, uno di casa nel Salto di Quirra, terra estrema nella sconfinata Isola di Sardegna.

Segreto di Stato

La consegna è talebana: silenzio assoluto. Nessuno deve sapere. Il ristretto conciliabolo tra il Capo di Stato Maggiore della Difesa e dell’Aeronautica decide che in Sardegna ci sono le condizioni di riservatezza e segretezza per mettere a punto la missione atomica italiana. Con Broglio, stratega di quella missione da spacciare come civile, vista la sua propensione scientifica per il lancio di satelliti e simili, si decide di puntare su un missile “medium range”, ovvero di gittata media. Le dimensioni prescelte, però, sono da guerra atomica senza un domani. Il progetto da testare nella base di Capo San Lorenzo, sulla costa orientale della Sardegna, prevede un missile con una gittata di circa 1.600 chilometri, in grado di trasportare testate nucleari di una tonnellata di peso.

Atomica made in Italy

Un missile tutto italiano, da collaudare e testare nell’Isola colonia militare dell’Italia, l’antica terra dei Nuraghi. L’arma letale, tutta da costruire, sarà congegnata con due stadi, uno alto sei metri e mezzo, con un diametro di 1,37 metri ed un peso di dieci tonnellate, compresa una di testata atomica. Secondo i calcoli di Broglio sarebbe stato in grado di annientare tutte le capitali del Patto di Varsavia e la parte occidentale dell’ex Unione Sovietica. Ma non solo, la gittata era in grado di aggredire senza un domani anche la ex Jugoslavia, e successivamente, anche la Libia del riottoso Mu’ammar Gheddafi.

Giulio in campo

E’ qui che scende in campo Giulio Andreotti in persona, il Belzebù della politica italiana, quell’eminenza grigia che tesseva fili e filo spinato ovunque, dai tempi in cui si era dilettato come Ministro della Difesa al governo di armi e guerre simulate. Il suo piano “atomico” è datato e risale proprio all’epoca in cui guidava da Ministro Generali e Forze armate. Sono le carte segrete e blindate che lo raccontano nel dettaglio, comprese quelle missive trasmessegli personalmente da “inviati” improbabili che si occupavano di acquistare uranio arricchito in giro per il mondo, in nome e per conto di Giulio Andreotti.

Missione Alfa 1

E’ lui che da Presidente del Consiglio dei Ministri, è il 1972, firma l’operazione Alfa-1. L’ordine è chiaro: produrre cento, dicasi 100, missili Alfa-1, quelli capaci di caricarsi una testata da mille chili di esplosivo nucleare e farla deflagrare a 1.600 chilometri di distanza, in terra nemica. Insomma, una guerra senza un domani. Contemporaneamente firma anche l’avvio dei test su scala. Manco a dirlo tutti in Sardegna. In gran segreto, ovviamente, senza che nessuno potesse minimamente insospettirsi di quello che si stava realmente realizzando. Ieri come oggi, ai curiosi ficcanaso si propinava la tesi delle sperimentazioni civili. In realtà, invece, si stava testando il più potente missile balistico mai prodotto in Italia in grado di penetrare la cortina difensiva dei paesi dell’Est con a bordo una bomba atomica, in teoria molto più potente di quelle di Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario prescelto traguarda una spiaggia infinita, esclusiva e preservata dalla natura intonsa. Nel proscenio d’Ogliastra la sinuosa insenatura di Murtas è testimone di un esperimento tanto surreale quanto nefasto.

Il lancio di Quirra

Nel poligono militare più grande d’Europa, quello del Salto di Quirra, ancora circondato da spavalde caprette di montagna e fiere mandrie di bovini d’altura, si sta per compiere il primo test del missile che in teoria dovrebbe scaraventare nel versante russo la “bomba atomica italiana”. Sono le 17 dell’8 settembre del 1975. Ci sono tutti, in quell’eremo segreto e nascosto, in quell’anfiteatro di guerra, segnato nelle carte nautiche del mare di Sardegna come Capo San Lorenzo, dedicato al martire delle stelle cadenti, bruciato sopra una graticola. Il missile Alfa 1 è in posizione (nella foto in alto). Il distacco dalla base di lancio è fulmineo: passano 60 secondi e il missile ha raggiunto i 25 km di altitudine, arrivando a 110 km di quota, e ricadendo a sessanta chilometri dalla costa sarda. Esperimento riuscito con una testata rigorosamente inerte. Ci riprovano altre due volte, il 23 ottobre dello stesso anno e il 6 aprile del 1976 (foto in basso). I verbali di lancio registrano: “successo”. Per le finanze di Stato, però, è un bagno di sangue: il sistema d'arma Alfa 1 ha raggiunto la spesa di sei miliardi di lire. La Jugoslavia, intanto, al confine sta dismettendo i suoi piani atomici.

Andreotti cerca uranio

Gli Stati Uniti premono l’Italia per bloccare l’escalation nucleare in Occidente. Andreotti tratta la resa, ma allo stesso tempo si occupa dell’acquisto di uranio in giro per il mondo. Non stava scherzando Belzebù. A mettere nero su bianco il rischio di essere scoperti, però, è il Ministro degli Esteri di allora, Arnaldo Forlani, che scrive a Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio dei Ministri (lettera nella foto): «Ricevo dal Presidente dell’Eni la lettera acclusa in fotocopia circa una trattativa per l’approvvigionamento d’uranio in corso con il Sud Africa che dovrebbe concludersi a fine mese. Per quanto di mia competenza – scrive Forlani – non posso non rilevare che vista la situazione sudafricana, tali approvvigionamenti finirebbero per comportare evidenti rischi». Quella missiva, secretata, alla pari di tante altre, fermò per sempre le mire “atomiche” in terra di Sardegna. Ultimo appunto: il dossier segreto su Alfa 1 nell’Isola-colonia, con le trattative più cruente, non arriva dagli archivi di Stato italiani. Per scovarli bisogna scardinare lo scrigno dei servizi segreti inglesi, loro avevano tutto da tempo. In Sardegna, invece, è sempre vietato sapere, ieri come oggi.

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