No all'assalto eolico, l'editoriale: «Di rinnovabile c'è solo la natura»
«L’energia è il motore del mondo e noi siamo il mondo. E vogliamo contribuire a salvarlo»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Rinnovabili, le chiamano. Come il nostro lievito madre, sa madrighe, conservato tutti i giorni dalle madri per sfamare la famiglia. Con il pane. Da generazioni. Ma cosa hanno, di rinnovabile, pannelli al silicio, torri e rotori? Provate a chiederlo alle comunità di Morgongiori, Pau e Ales. Trentasei anni fa (anno del Signore 1988), in cambio di trenta denari, i signori dell’energia, ingrassati dalle partecipazioni statali e dalle bollette pagate dai sardi, sbarcarono sul Monte Arci per vendere il futuro. Era solo fumo.
Rinnovabili, le chiamavano. Lassù, a quota ottocento metri, c’era da catturare il vento, inesauribile regalo per l’Isola fatto dalla Natura. O dal buon Dio. Insieme al sole. Non arrivarono buste paga, sconti sul costo della corrente. Arrivarono, con le firme dei sindaci e dei signori di cui sopra, una decina di aerogeneratori (“parchi” eolici, li chiamano, sic!)…
Devastarono lecci e roverelle, corbezzoli e lentischi, agrifogli, filliree. In sfregio a Sa Trebina Longa e a Sa Trebina Lada, due monumenti naturali di rara bellezza lì, da milioni di anni.
Quell’impianto, sull’incanto del Monte Arci, non entrò mai in funzione. Alle comunità rimase solo la rabbia, che alimentò la forza e il coraggio per far cancellare, se non altro, la vergogna. Quei mostri arrugginiti (rinnovabili, le chiamavano e le chiamano) non ci sono più. E chi scrive era lì a sostenere una battaglia nobile, accanto a chi, dopo essere stato preso per i fondelli, decise di percorrere la vera strada per scrivere il futuro dei figli e dei nipoti: la natura, il paesaggio. Il vento, il sole. Le roverelle. Gli agrifogli. Sa Trebina. Questo gruppo editoriale c’era, c’è e ci sarà sempre per mettere la Sardegna davanti a ogni altro interesse.
L’energia è il motore del mondo e noi siamo il mondo. E vogliamo contribuire a salvarlo. Ma le scelte politiche centrali, come ai tempi di quei signori ingrassati dalle partecipazioni statali, stanno facendo passare sulla testa dei sardi un piano che non ha nulla a che fare con la salvezza del pianeta. Non trova spiegazioni logiche autorizzare impianti per produrre dieci quando alla Sardegna basterebbe uno. E quell’uno lo abbiamo già. Non trova spiegazioni logiche portare qui un cavo sottomarino (Tyrrhenian link, lo chiamano) che può esportare due quando qui hanno autorizzato energia per dieci. A chi serve?
Il sacco dell’Isola si spiega solo con una parola: speculazione. I nomi e i cognomi si conoscono. Li abbiamo fatti. Per anni. Ma la politica, a Roma, si chiami Draghi o Meloni, è andata avanti come una ruspa e non per salvare il mondo. I sardi non possono permetterlo. Non vogliamo vivere altri Morgongiori, altri Pau, altri Ales. No, non possiamo permettercelo. Perché quell’errore commesso nel 1988 (con qualcuno che in buona fede pensava di fare cosa buona e giusta), moltiplicato per centinaia e centinaia di progetti già presentati e a un amen dall’autorizzazione, significherebbe oggi lasciare alle nuove generazioni una cosa diversa rispetto a una Terra, la nostra, che peraltro ha già dato tanto. Se solo pensassimo, tutti noi, in scienza e coscienza, e magari anche con un po’ di fede, che la Sardegna ha ancora una speranza, teniamola viva. Ognuno per la sua parte. Le chiamano rinnovabili, ma è solo un inganno. Ci sono tante figlie che aspettano il lievito madre.
Emanuele Dessì