La carta d’identità non era una garanzia: cercatori d’oro, nazionalità australiana. Gli stessi nomi e cognomi del disastro al cianuro di Santu Miali, nelle terre promesse di Furtei. Dopo il tracollo della “Sardinia Gold Mining”, la società che gestì l’estrazione dell’oro colloidale dalle montagne a ridosso della Marmilla e del Campidano, scapparono a gambe levate lasciando alla Regione il pacco milionario delle bonifiche mai fatte. Qualche anno dopo la fuga criminale rimisero piede in Sardegna, sotto mentite spoglie. In viale Trento, colpiti da amnesia fulminante e da pervicacia suicida, gli spalancarono nuovamente le porte. Questa volta l’autorizzazione alla ricerca mineraria abbandonava il filone aurifero per concentrarsi su quello storico, il piombo-zincifero.

Canguri in miniera

In quei mesi le “quattro ruote” con tanto di canguro nell’effige societaria scorrazzano da Montevecchio a Campo Pisano, da Monteponi a Monte Agruxiau, da Ingurtosu a Buggerru. Al seguito hanno sempre la loro “carotatrice” industriale, capace di “cristallizzare” la stratigrafia del terreno sino in profondità. La missione nell’antica Villa Ecclesiae, questa volta, però, non è strettamente mineraria. Gli uomini del più cruento Klondike della storia estrattiva dell’Isola avevano varcato la terra di “Ad Metalla” per mettere ai raggi X le “dighe di sterili” che circondano tutte le aree minerarie metallifere della Sardegna. Per tutti sono da sempre le “montagne rosse”, quelle che si stagliano imponenti come piramidi egizie all’ingresso di Iglesias, all’imbocco della strada delle miniere. Impatto scenografico esclusivo, simbolo di una civiltà che non c’è più, ma soprattutto montagne di veleni imposte dallo sfruttamento minerario e pronte a dissolversi negli anni in polvere e fanghi. Dentro quelle “dighe di sterili”, le stesse che i “canguriman” vogliono “scandagliare”, però, c’è di tutto e di più. Quei cumuli infiniti di polveri rossastre e nere altro non sono che gli scarti dell’estrazione di piombo e zinco. La chiamavano “flottazione”, per i neofiti la separazione degli scarti della galena dalle materie prime. La tecnologia degli anni ruggenti, però, era atavica.

Giacimento dimenticato

I l risultato era disarmante: erano più i metalli che finivano in quelle “discariche” che quelli che venivano spediti a Portovesme, nell’attuale impianto metallurgico della Glencore per la produzione dei “lingotti” di piombo e zinco. In quelle impressionanti montagne di fanghi, posizionate nei promontori prossimi alle gallerie e agli impianti estrattivi, si addensavano quantità immense di metalli destinati ad essere dilavati nel tempo, inquinando e devastando ulteriormente il territorio. I tecnici di miniera, quelli avveduti e responsabili, lo avevano pure scritto in tempi non sospetti: dentro quelle “discariche” c’è un Eldorado di minerali. Le nuove tecnologie di fatto avrebbero consentito un’estrazione totale di quei minerali ottenendo due risultati con una mossa: bonificare quei territori, impedendo il persistente inquinamento da dilavamento, e dall’altra approvvigionare lo stabilimento di Portovesme ponendo fine a quel traffico mondiale di “rifiuti industriali” destinati alla catena produttiva nel Sulcis.

Australiani docet

Nessuno gli diede retta, in Regione gli risposero di farsi gli affari loro. Preferirono affidare le ricerche alla “King Rose Mining”. Era il 2011. A vergare il report riservatissimo dei risultati australiani in terra di Sardegna è nientemeno che John Morris, l’uomo passato da direttore della miniera di Furtei a capo della nuova compagine australiana. L’operazione è semplice: misurare i tenori di piombo e zinco contenuti in quelle discariche e “quotare” la società in borsa millantando una “concessione” mineraria che, in realtà, non ebbero mai.

Colpo in Borsa

Le comunicazioni alla Borsa dei Metalli di Londra, attraverso le trimestrali della “King Rose Mining” sono da “colpaccio” miliardario: 100 milioni di metri cubi di cosiddetti sterili, in realtà scarti di lavorazione pieni di metalli, a partire da piombo e zinco. L’annuncio in Piazza Affari è ufficiale: «Gli amministratori di King Rose Mining sono lieti di annunciare che l’azienda inizierà il lavoro di prefattibilità su un potenziale molto grande di sterili. Un progetto di ritrattamento di uno dei più grandi quartieri minerari in Europa su più depositi di sterili, zinco e piombo, contenenti tra 70-90 milioni di tonnellate di materiale accumulato in oltre 200 anni di attività estrattiva».

Valore 3,5 miliardi

La mappa è una "bomba” finanziaria. In quelle montagne di sterili si stimano, secondo il piano australiano, 89,2 milioni di tonnellate di materiale con tenori di 2,07% di zinco e 0,56% di piombo. Tradotto: quei cumuli di polvere contengono oltre 1,8 milioni di tonnellate di zinco e quasi 500.000 tonnellate di piombo. I calcoli di allora, depositati a Londra, sono miliardari: dentro quelle montagne di fanghi ci sarebbero piombo e zinco per oltre 3 miliardi e mezzo di euro. Dopo il blitz in Borsa e il millantato credito su quelle concessioni gli australiani scapparono nuovamente, questa volta senza il bottino, rimasto racchiuso in quelle “montagne rosse” tra Monteponi e Montevecchio. Ora, però, si apre uno scenario insperato e inedito.

Allarme materie rare

L’ Europa ha lanciato l’allarme: il vecchio continente importa da Pechino il 97% delle terre rare che consuma per la transizione ecologica, con tutti i rischi che ne derivano. L’Italia, con grave ritardo, si sta muovendo. L’incarico per la ricognizione della potenzialità “mineraria” è affidato all’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale. Il dossier è già pronto, con una verità che non lascia dubbi: la Sardegna è la terra più promettente sia per le “Materie Critiche” che per le “Terre Rare”.

Tesoro Sardegna

Lo scrivono senza riserve, a partire proprio da quelle dighe di sterili cariche di “metalli”: «Le attività minerarie chiuse o abbandonate precedentemente al Dlgs. 117/08 hanno lasciato grandi quantitativi di rifiuti estrattivi stoccati in strutture di deposito (cumuli di discarica e bacini di decantazione) anche di notevoli dimensioni. Nel distretto minerario sardo, il più importante in Italia, ne esistono circa 70 milioni di metri cubi, con un conseguente elevato impatto ambientale». La proposta dell’Ispra è esplicita: «Tali depositi potrebbero rappresentare un’importante fonte di materie prime seconde. In genere hanno buone potenzialità minerarie, con tenori anche elevati come nel caso dei fanghi rossi di Monteponi (Iglesias), per i quali è accertato un contenuto medio del 7-8% in zinco. In diversi casi i depositi di stoccaggio contengono anche quantitativi interessanti di Materie Prime Critiche (es. Terre Rare a Silius) ma molto deve essere ancora fatto in termini di caratterizzazione e di riutilizzo totale dei materiali».

Sfida “rara”

Una sfida rilevante sulla quale la Sardegna potrebbe essere chiamata a giocare una partita rilevantissima: fornire un apporto decisivo sulle “Terre Rare” e le “Materie Prime Critiche”, pianificando nel contempo la più imponente bonifica ambientale di questi ultimi 200 anni. Una delle scoperte più rilevanti in questo scenario internazionale riguarda il sito minerario di Muscadroxiu, a Silius, nel Gerrei. Dalla storica miniera hanno sempre estratto barite e fluorite, oggi, però, la società che ha in concessione quelle gallerie sta progettando di riaprire la miniera per l’estrazione di Terre Rare. Il vero Eldorado in terra sarda potrebbe essere stato scoperto dall’Università di Ferrara in una cava di marmo di Buddusò, definito dai tecnici uno dei giacimenti di Terre Rare più promettenti in Europa. Scrivono gli universitari: “I graniti di Buddusò sono composti per l’80% - 85% di quarzo e feldspati, materie utilizzate per il comparto ceramico e del vetro. Contengono anche elevate percentuali (fino al 15%) di Allanite, un minerale magmatico raro che si caratterizza per essere ricco di terre rare e interessanti quantità di Ferro, Tantalio e Niobio. Si distinguono da altri graniti per concentrazioni utili di Germanio e Gallio, elementi importanti per la produzione di componenti green». Ultima nota “costituzionale”, la competenza primaria ed esclusiva sulle miniere è in capo alla Regione Sardegna. Stare a guardare sarebbe un errore strategico imperdonabile.

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