«Sono entrato in Polizia senza sapere in verità cosa andassi a fare. Mi avevano detto c'è un bando di concorso al ministero dell'Interno . Era un posto da vice commissario».

Si è laureato giovanissimo a Sassari Mario Marchetti, e a 22 anni aveva già insegnato lettere a Bonorva, il suo paese, e Macomer, prima di approdare alla questura di Cagliari. Era il 1966. Nessuno poteva immaginare che quel giovane vice commissario con la sigaretta sempre accesa e la personalità decisa 44 anni dopo sarebbe andato in pensione da procuratore aggiunto della Procura di Cagliari.

Anni roventi.

«Per i sequestri di persona,certamente».

Poi è passato alla squadra politica.

«Nel 1973. Anni terribili».

Perché?

«Stava iniziando la contestazione e mi sono trovato a fare pure il sindacalista».

Questa è nuova.

«Tutto vero: mi sedevo al tavolo tra datori di lavoro e dipendenti e facevo il mediatore. L'ho fatto alla Saras e anche con gli autotrasportatori».

Trattative a buon fine?

«Eh... certo».

Questioni di ordine pubblico.

«Lo facevo nell'interesse dello Stato alla ricerca della pace sociale».

I movimenti erano molto politicizzati.

«Mica solo quello. La sede del Movimento Sociale, per dirne una, era sotto la Casa dello Studente».

Situazione in effetti difficile.

«Sì, una volta sono entrato da solo nella Casa dello Studente: era occupata e bisognava sgomberarla. Avanzavo sulle scale e i ragazzi retrocedevano».

Aveva la pistola.

«Ma sta scherzando?».

E com'è andata a finire?

«Sono usciti».

Come li ha convinti?

«Qualche scontro verbale c'è stato ma sempre molto educato.....».

Uno contro tutti.

«Non contro, sono andato a parlamentare, non a scontrarmi».

Vabbè, quella volta le è andata bene.

«Anche altre: i dipendenti del manicomio avevano occupato Villa Clara. Era un problema perché dentro c'erano i malati. Mi sono avvicinato al cancello e ho detto: discutiamo . E loro: entri. Dopo cinque secondi mi sono pentito amaramente».

Sequestrato?

«Diciamo che mi sono dovuto trattenere volontariamente..... mi dicevano lei si sente male, dobbiamo visitarla . Poi ci siamo messi a parlare, ho parlato col primario di turni e orari, come un vero sindacalista, e hanno interrotto l'occupazione».

Oggi potrebbe andare sui tetti delle università.

«Se non facevamo così era vero caos».

Lei passava per un reazionario.

«Non ancora, anche se la polizia era vista malissimo. Dopo sono passato all'ufficio di sicurezza».

Periodo ancora più brutto.

«Stava cominciando il terrorismo, rosso e nero, e siccome ho arrestato e gli uni e gli altri, a seconda della situazione mi davano del fascista o del comunista».

Rischi veri?

«L'avvocato Francesco Onnis mi ha salvato la vita».

Quando?

«Nel 1973, c'era un comizio di Almirante, la piazza del Carmine era piena di simpatizzanti del Msi, ai quattro lati si erano posizionati gli extraparlamentari. Io ero lì con 300 uomini. La cosa poteva mettersi male anche perché i manifestanti avevano bandiere che erano bastoni grossi così con un pezzetto di stoffa piccolo così. Dopo il comizio volevano attraversare la città ma era molto pericoloso e io ho fatto un'imprudenza grave: sono andato sotto il palco e mi sono trovato in mezzo a tutte quelle bandiere. È intervenuto quel giovane avvocato».

Poliziotto da strada.

«Ricordo una manifestazione del 12 dicembre, anniversario dell'attentato alla banca dell'Agricoltura, c'erano 600 manifestanti in piazza Garibaldi. Avevano le solite bandiere ed erano quasi tutti travisati. C'era con me il procuratore Villasanta, voleva che sciogliessi il corteo e io ho dovuto convincerlo che non potevamo provocarli, sarebbe successo il finimondo».

Le hanno fatto le scritte sui muri.

«Era il 1974: avevo saputo che stavano preparando un attentato a Cagliari, ci indicavano un certo Pilia che abbiamo trovato con un po' di esplosivo e arrestato. Poi abbiamo preso anche un certo Saba, il braccio destro di Feltrinelli (l'editore che voleva fare della Sardegna la Cuba del Mediterraneo), e un giovane che lavorava alla Saras. Io ho deposto al processo, quello nel quale un giornalista è stato arrestato in aula perché ha invocato il segreto professionale».

Questo è il caso che l'ha convinta a lasciare la Polizia?

«Non mi è piaciuto come sono state condotte le indagini».

Dopo sei mesi era un magistrato.

«E quasi subito mi sono occupato degli indipendentisti».

Tra questi Salvatore Meloni.

«In casa aveva 70 chili di esplosivo».

Ma ho letto che lei è in buoni rapporti con Meloni.

«Ottimi».

Singolare.

«Gli ho salvato la vita. Faceva lo sciopero della fame in carcere, aveva perso 30 chili. Ho tentato con l'alimentazione coatta che poteva anche essere scorretta. Era un braccio di ferro: lui scioperava e io lo tenevo in galera ma avevo il bollettino medico sulla scrivania ogni mattina. Sono andato in carcere e l'ho convinto. Ha pure firmato un verbale in italiano, lui che voleva solo parlare in sardo».

Negli anni Novanta ha sgominato la banda di Is Mirrionis.

«È stato un caso: mi occupavo d'altro e un detenuto mi aveva indicato una pista, avevo inoltrato la notizia alla polizia e il procuratore mi ha affidato le indagini. Abbiamo sentito in diretta la ricerca di Sandro Marras, ucciso in piazza. Poi, quando si è pentito Andrea Manca, abbiamo svoltato. È stato lui a raccontarci dell'attentato a casa Tavolacci dove Manca, per difendersi, aveva lanciato dalle finestre bombe a mano, per fortuna non sono esplose».

Coi pentiti di quella banda ha risolto il sequestro Murgia e pure il delitto del Bevimarket.

«Dopo il processo si è pentito Elio Melis e poi Francesco Cardia che ha chiamato in causa Antonio Fanni il quale mi ha raccontato di traffici diabolici e pure di quel delitto cui nessuno pensava più. Ma non aveva detto tutto sull'omicidio Stori così non gli era stato accordato il programma di protezione e si è ucciso».

Nel Duemila è approdato al gruppo pubblica amministrazione.

«Sono tornato all'origine, ho chiuso il cerchio».

Nel frattempo ci sono state le pallottole di kalashnikov recapitate per posta dai neo terroristi.

«Sì vabbè, lasciamo perdere...

È diventato il terrore dei colletti bianchi. Si raccontano di battute in Consiglio regionale: qualcuno parla di Marchetti, gli altri si irrigidiscono fino a quando capiscono che il riferimento è alle parate del portiere del Cagliari.

«Ma io ho coordinato il gruppo più che condotto indagini».

Oggi la accusano ancora di faziosità politica?

«Mah, ho portato a giudizio Italo Masala, presidente di una giunta regionale di centrodestra, e Renato Soru, governatore di un esecutivo di centrosinistra».

E ora che va in pensione fioccano le proposte politiche.

«Lasciamo perdere».

Era stato indicato pure come candidato alla Provincia.

«Dicano quello che vogliono».

Perché non è rimasto in magistratura fino a 75 anni?

«Da un lato sono convinto che a un certo punto si debba lasciar spazio, per fare il magistrato ci vuole sanità mentale e fisica».

Dall'altro c'entra il discorso sulla giustizia difensiva che ha fatto in occasione del commiato?

«Sì. Come pm posso criticare il giudice con l'appello ma sono un cittadino di questo Stato e mi domando se la giustizia sia adeguata alle esigenze di questo tempo. In carcere ci sono 67.000 persone, il 98 per cento sono extracomunitari, piccoli spacciatori e mafiosi. E tutti gli altri»?

Non è sempre stato così?

«Non lo so e non mi interessa, certo che non sta bene. Il danno che fa uno scippo o una rapina è grave per la vittima ma quelli dei colletti bianchi lo sono per un'intera collettività. Perché si meravigliano se si indaga su sindaci, presidenti di provincia o di regione»?

I pubblici ministeri non sono responsabili della situazione della giustizia italiana?

«No, perché queste sono le leggi».

E i giudici?

«Hanno la colpa di essere poco coraggiosi, certo non collusi, ma in questo clima si deve avere il coraggio di stare da soli e sopportare critiche di tutti i generi. I colletti bianchi non vogliono essere controllati e non vogliono essere giudicati. Il processo breve? Sono d'accordo. Ma i reati non sono tutti come il furto che viene subito scoperto e denunciato, qui le cose si vengono a sapere anni dopo: dire che bisogna finire il processo in sei mesi è scorretto. In Spagna non c'è prescrizione se si inizia l'azione penale».

Ma i magistrati star esistono.

«Ci sono 3.500 persone che fanno il pm, se qualcuno fa errori io non lo so e non lo posso escludere ma non è questo il problema».

Il pm oggi e indipendente o no?

«Formalmente sì ma si è creato un clima che incide sull'indipendenza, non c'è dubbio».

Anche a Cagliari?

«Probabilmente anch'io sono stato 10.000 volte più attento e questo è un limite».

Bisogna tener conto degli appuntamenti elettorali per non fare gridare alla giustizia a orologeria?

«È una cosa che ho dovuto personalmente considerare. Eppure so che non ci sono imputati speciali. Ci pensino loro a non fare reati prima delle elezioni. Il pm non indaga così, perché ne ha voglia: ci deve essere una denuncia, altra possibilità in Italia non esiste».

MARIA FRANCESCA CHIAPPE
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