Legge sulle aree idonee: «Rischio speculazione fuori dai centri urbani»
Con i nuovi parchi aumenta il consumo di suolo. L’Ispra: in Sardegna valori pro capite tripli rispetto alla media nazionalePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Un nuovo rilievo si allunga sulla legge 20. Dopo le deroghe politiche che potranno trasformare in aree idonee le zone inizialmente non idonee (sembra un gioco di parole ma è l’effetto del testo normativo), ecco l’allarme sulla norma che rischia di trasformare le comunità energetiche. A sollevarlo è Giovanni Cossu, l’ingegnere industriale che supporta i comitati nel lavoro di analisi e studio sui rischi speculativi legati alla realizzazione eccessiva di parchi verdi. «Un effetto cumulo – spiega l’esperto – che determina danni irreversibili sull’ecosistema». A cominciare dal consumo di territorio, su cui l’Ispra, l’Istituto nazionale per la protezione e la ricerca ambientale, ha già aperto un “caso Sardegna”, dove si registrano «valori pro capite tripli rispetto alla media nazionale».
Il dispositivo
Bisogna andare nell’allegato G per trovare l’ultimo casus belli. Il tema sono i «requisiti tecnici per tipologia di impianto». Il versante è quello dell’agrivoltaico, cioè l’autorizzazione in campagna, nelle cosiddette zone E, di parchi che sfruttano l’energia solare. «Permettere che più imprenditori agricoli possano dedicarsi al business – sottolinea l’ingegnere -, significa consentire un’attività di tipo industriale».
La contraddizione
Non solo: «Uno degli elementi che caratterizza le Cer, le comunità energetiche rinnovabili, è la loro localizzazione in zone già impermeabilizzate, dove non passa né l’acqua né l’umidità, quindi non può esserci un utilizzo diverso dall’edilizia – continua Cossu -. Ma consentire che gli impianti verdi possono essere realizzati anche nelle zone agricole, vuol dire aprire la strada a nuovo consumo di territorio. E la Sardegna non ne ha certo bisogno».
I numeri
Le osservazioni dell’ingegnere fanno il paio con l’ultima tegola arrivata sulla Sardegna attraverso il rapporto Ispra 2024. Intanto: negli ultimi anni nell’Isola il consumo di territorio è cresciuto enormemente. Sia in numeri assoluti che pro capite soprattutto. E c’entrano anche le rinnovabili. Per abitante, la quota “mangiata” dalla pressione antropica è di 2,92 metri quadrati, quasi tre volte tanto il dato nazionale, fermo a 1,23 metri quadrati. Un primato davvero poco invidiabile. Nel solo passaggio dal 2022 al 2023, «in Sardegna il consumo di suolo si è attestato sullo 0,57 per cento, il valore più alto registrato in Italia».
Dati locali
I record negativi si susseguono anche nel dettaglio municipale. È Uta a guidare la classifica nazionale dei Comuni che hanno eroso maggiormente il patrimonio ambientale. A ruota, Ravenna e Roma. «Uta – è scritto nel report Ispra – ha l’incremento annuale più elevato, raggiungendo 105,84 ettari». Un’enormità. Il capoluogo romagnolo ne ha consumati 89, la Capitale 71. «Questo dato – continuano gli esperti dell’Ispra – appare in linea con le tendenze dello scorso anno, quando Uta si collocava già tra i primi tre Comuni per estensione di superfici artificializzate nel periodo 2021-2022». Per una sola ragione, messa nero su bianco: «La crescita è in gran parte attribuibile all’installazione di impianti fotovoltaici a terra, concentrati nella zona industriale a sud del centro abitato, ma anche a opere di espansione dell’area industriale, comprese strade di accesso e nuovo edificato». Non brillano per risparmio di suolo, sempre tra 2022 e 2023, nemmeno Porto Torres (36,86 ettari) e Olbia 31,85). Ma Sassari, tra 2021 e 2022, è arrivato a quota 54,27; Alghero, nello stesso periodo, al 35,98; Assemini a 28,88. «Vien da sé – conclude Cossu – che l’overdose energetica non può essere accettata dai sardi perché il surplus non è transizione ma speculazione».
Alessandra Carta