Molto più che una saga, quasi una maledizione. Un vero e proprio giallo giudiziario, con tanto di rinunce di consulenti d’ufficio, conflitti d’interesse e revoche d’incarichi. La sezione civile del Tribunale di Cagliari con quella penale condivide, per il momento, solo quelle imponenti colonne d’ingresso del Palazzo di Giustizia più importante dell’Isola. Eppure, tra quei fascicoli inchiodati alla storia dal Registro generale ce n’è uno che da nove anni non riesce a scrivere la parola fine, o meglio, non riesce nemmeno a muovere i primi passi.

Non è signor nessuno

Non una causa qualunque, non un procedimento giudiziario contro un signor nessuno, ma semmai uno dei casi più controversi di quella terra di Sardegna che da sempre, silenziosamente, si confronta con la grande industria, quella pesante, che inquina e produce, che crea lavoro e devastazione ambientale. Basterebbe questo per spiegare la causa 2012/6722, protocollo generale giudiziario che segna in modo indelebile l’anno di apertura del fascicolo.

Dio petrolio

Da una parte un povero agricoltore di Sarroch dall’altra il colosso del Dio petrolio. Il primo è Carlo Romanino (nella foto), serricoltore malcapitato ai confini della raffineria più importante del sud Europa, il secondo, invece, è la Saras, ora Sarlux, macchina infernale per la trasformazione dell’oro nero in linfa vitale per auto e non solo. Lo scontro è titanico, mai consumato sino in fondo, per ragioni che sfuggono al controllo della stessa giustizia. Due sono i dati incontrovertibili di questa vicenda di veleni e accuse: nell’agro di Sarroch, in piena area agricola, ci sono le serre di Carlo Romanino, a poche centinaia di metri c’è la raffineria.

Pomodori e inquinamento

L’agricoltore, nel 2012, vede le sue serre cadere a pezzi. Corrose da polveri gialle e invasive. Continuare a produrre pomodori senza la piena consapevolezza di quanto sta accadendo lì dentro è da irresponsabili. E, infatti, le produzioni agricole si fermano. I sesti d’impianto delle colture orticole sono ancora in bella vista dentro quelle case di vetro che ora ospitano solo abbandono e tristezza. Quando le mostra a favore di periti e telecamere i suoi occhi ancora si infiammano, al pensiero che i sacrifici del padre si sono liquefatti ancora senza un motivo. Decide di andare a fondo su quello sgretolamento tanto anomalo quanto inquietante. Si rivolge ad un laboratorio di analisi sull’altro versante del Tirreno, giusto per cercare un minimo di indipendenza dai colossi circostanti. Le analisi confermano quello che era più di un sospetto. Si affida ad un legale e trasmette tutto al Tribunale ordinario di Cagliari.

Lite temeraria

La Saras non ci sta e lo denuncia a sua volta per “lite temeraria”. E’ qui che inizia una vera e propria saga di periti chiamati dai giudici a valutare le ragioni di quel che stava accadendo in località Porto Foxi, a 400 metri dal recinto petrolifero.

Walzer

Il primo perito indicato dal Tribunale, Bruno Cau, non sale nemmeno le scale di Piazza Repubblica, legge i contendenti e rinuncia senza aver mai nemmeno accettato l’incarico di Ctu, il consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice. Non va bene nemmeno con il secondo, Ignazio Abis, che rinuncia in piena udienza. Ci riprovano con un ingegnere, Nicoletta Mattana, che a maggio del 2015 viene nominata dal Tribunale di Cagliari per dirimere, tecnicamente, la vicenda che contrappone “Davide” a “Golia”.

Il quesito

Il quesito del giudice è tanto sintetico quanto chiaro: «Previa descrizione dei luoghi, dica il Ctu se nel suolo e nelle acque ove insiste l’azienda per cui è causa siano presenti gli elementi meglio indicati in citazione in misura superiore alla soglia di legge». La fase successiva a quell’accertamento è disposta nello stesso quesito: «in caso positivo: individui l’epoca a cui risale la “contaminazione”; accerti se la contaminazione sia riconducibile alla stregua del “più probabile che non” all’attività della convenuta (la Saras n.d.r)». Le domande più che spine nel fianco sono martelli perforanti, gli stessi che devono essere utilizzati per sondare il terreno intorno all’azienda agricola. Da capire c’è il tipo di inquinamento e la conseguente provenienza. Il perito del Tribunale sembra intenzionato a fare chiarezza. Si scelgono i punti di carotaggio, si valutano i venti predominanti, si localizzano i centri di pericolo e la natura del contaminante. La conclusione della prima fase è messa nero su bianco con tanto di firma in calce del tecnico del Tribunale.

L’inquinamento c’è

L’inquinamento c’è, dicono le analisi di laboratorio. La prima relazione inviata al Giudice lo scrive senza mezze misure: «i campionamenti eseguiti hanno evidenziato il superamento per alcuni metalli dei limiti di legge imposti dal D.lgs.152/2006, ovvero delle concentrazioni di soglia di contaminazione nel suolo». La conclusione è scritta: «Il suolo dell’azienda agricola a seguito degli accertamenti effettuati risulta contaminato da vanadio e zinco». Restano da definire le cause. Per lo zinco il consulente sostiene: «il superamento della concentrazione di soglia di contaminazione è dovuto con ogni probabilità ad una concentrazione di tale metallo nei sedimenti del laghetto dovuta al deterioramento delle canale di gronda delle acque piovane nelle serre».

Vanadio

Per il vanadio, invece, non si sfugge: «Il superamento della contaminazione è confermato da quanto determinato nello studio effettuato dalla Regione Sardegna sul sito industriale di Sarroch». Su tempi dell’inquinamento il tecnico non si sbilancia: «Non è possibile stabilire l’epoca della contaminazione se non mediante uno studio basato su dati empirici e modelli matematici che prenderebbero tempi lunghi e costi elevati». Sulle cause dell’inquinamento la valutazione è evasiva quanto basta: «Si può supporre che la contaminazione rilevata derivi dalle ricadute di particolato atmosferico, trasportato dal vento, contenente l’inquinante riscontrato utilizzato nei processi produttivi». La conclusione è affidata alla cautela: «Non è però possibile con assoluta certezza attribuire l’inquinamento riscontrato alla convenuta (la Saras n.d.r.)». Il Giudice prende atto e trasmette, come prevede la norma, i dati dell’inquinamento accertato a Regione, Provincia e Comune. Non succederà niente o quasi, salvo che il Consulente subito dopo quella prima fase scrive al Giudice e comunica la sua rinuncia al prosieguo dell’incarico, incompatibile con il suo nuovo lavoro.

Nuovo cambio

A febbraio del 2019 nuovo colpo di scena, il Giudice Monica Moi non vuole arrendersi e decide di andare a fondo sulla vicenda. Per le nuove indagini sul campo conferisce un incarico di consulenza tecnica all’ingegner Battista Grosso.

Il ribaltone

Il tecnico, pesantemente contrastato dalla controparte sino a chiederne la revoca, dopo 22 mesi, arriva ad una conclusione: «il terreno superficiale del sito dell’azienda presenta concentrazioni dei contaminanti ricercati inferiori alle norme tranne che per il vanadio i cui limitati superamenti sono, con ogni probabilità, attribuibili a caratteristiche proprie delle formazioni geologiche, a scala regionale e non del sito e in assenza di indagini nel terreno profondo». Monica Moi, il giudice chiamato a dirimere una partita tanto imponente quanto intoccabile, non ci sta. Il 25 ottobre scorso lo scrive in un’ordinanza che ha i crismi della bocciatura: «la contraddittorietà dei risultati ai quali sono pervenuti i due consulenti rende opportuna la rinnovazione della ctu previa nomina di un Collegio peritale». E’ esplicita nelle decisioni.

Revoca e nuovo collegio

Al primo punto del dispositivo ordina:«Revoca l’Ing. Battista Grosso». Per il collegio dei nuovi consulenti decide di andare oltre Tirreno e nomina i professori Alessio Ceccarini e Tarita Biver, del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa. Entro l’8 novembre, è scritto nell’ordinanza, devono accettare con tanto di «dichiarazione nella quale prestino giuramento di bene e fedelmente adempiere alle funzioni affidate». Non un dettaglio. La saga dei consulenti tecnici, però, in terra di Saras non è ancora finita. La prossima udienza è già fissata per il 19 novembre prossimo. In ballo c’è un caso di salute pubblica e inquinamento ambientale che va ben oltre la contesa tra un agricoltore rimasto senza pomodori e gli alambicchi di petrolio della famiglia Moratti. Uno scontro titanico ancora tutto da scrivere.

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