Il killer aveva aspettato con pazienza, nascosto dietro un macchione di rovi ai margini di quella stradina avvolta nel buio a Sardara. Sapeva che la vittima sarebbe passata proprio lì: era solo questione di minuti. Poco dopo mezzanotte la sua attesa era stata premiata: l'assassino aveva sentito il rumore della Vespa 50, aveva imbracciato il fucile, preso la mira e sparato. A terra, cadavere, era rimasto Giuseppe Urracci, pastore, 58 anni. Era appena cominciato il 15 giugno del 1991. L'identità dell'omicida? Un mistero. Fino a oggi.

Quasi diciannove anni dopo la Procura della Repubblica di Cagliari infatti è certa di avergli messo le mani addosso. Si tratterebbe di Giovanni Ignazio Casula, meglio conosciuto come Giannetto, allevatore desulese, un passato più che burrascoso alle spalle, già condannato in via definitiva per il delitto - commesso il 6 ottobre 1987 - di Sebastiano Puddu, proprietario di alcuni terreni confinanti coi suoi nella stessa Sardara. La storia si ripete: anche in questo caso si tratterebbe di un regolamento di conti e, anche questa volta, gli inquirenti l'hanno incriminato (l'accusa è omicidio premeditato) grazie a un'intercettazione ambientale. La stessa costatagli l'ergastolo per l'assassinio precedente.

La svolta arriva nel 2006. Casula è detenuto a Buoncammino ma si trova in regime di semilibertà e può andare ogni giorno a lavorare a Senorbì. Il 15 gennaio sta rientrando a Cagliari in auto con un altro detenuto, Bruno Atzori. Non sa che a bordo della Fiat Punto c'è una microspia: i carabinieri stanno indagando sulla rapina del 31 ottobre 2005 all'ufficio postale di Assemini e sospettano dell'allevatore desulese. Che non dice nulla della rapina ma si vanta di quattro omicidi, alcuni feroci. «Ho sparato e la testa non c'era più», dice riferendosi - ne fa il nome - al delitto Puddu. Una questione di incendi, furti e armi. Ma in quello stesso frangente Casula parla di altri tre assassinii: la Procura è convinta che uno sia quello di Giuseppe Urracci.

L'allevatore, originario di Morgongiori ma residente a Sardara, fu ammazzato appena passata la mezzanotte tra il 14 e il 15 giugno del 1991. Il suo corpo fu trovato alle 7,30 da uno dei figli mentre andava all'ovile: era adagiato sul fianco destro e ancora inforcava la Vespa. Colpito sul lato sinistro della testa, aveva il cranio sfondato come se «qualcuno lo avesse colpito con un corpo contundente», fu scritto nella prima relazione dagli investigatori. In realtà si accertò che a uccidere era stata un'arma ben diversa.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Urracci alle 23,30 era uscito da casa per andare allo stazzo ma prima si era fermato al bar. Il killer doveva ben conoscere le abitudini della vittima, perché si era nascosto in un punto completamente avvolto dal buio e che sapeva sarebbe stato percorso dall'allevatore: dietro alcuni cespugli all'ingresso del campo di tiro a volo, in località Piscina Teula, a venti metri dalla Provinciale per le terme di Santa Maria Acquas e a 500 dall'ovile di Urracci. La vittima fu colpita da una fucilata a pallettoni esplosa da brevissima distanza. Poi la fuga. Mai trovati bossoli per terra, mai testimoni che potessero raccontare quanto accaduto. Si pensò subito che il delitto fosse maturato nell'ambiente agropastorale e fosse legato a eventuali sconfinamenti del bestiame. Casula e Urracci erano vicini di pascolo, ma nessuno trovò mai alcun collegamento con l'omicidio. Fino a quell'intercettazione e ai successivi, positivi riscontri. Compreso il racconto di qualcuno (non Atzori) cui Casula confessò il delitto.

L'indagato, interrogato dal pubblico ministero Alessandro Pili qualche mese fa, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ma gli inquirenti sono convinti di aver risolto un mistero durato 19 anni.

ANDREA MANUNZA
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