In Sardegna il problema non è avere le idee giuste, ma è rompere le cattive abitudini.

Lo scontro tra innovatori e conservatori è sempre stato qui da noi o rivoluzionario o nullo, perché la conservazione sarda non è rinnovabile, è camaleontica e trasformista, per cui sembra immodificabile se non al prezzo di un processo politicamente traumatico.

Massimo Crivelli, sull'Unione Sarda di ieri, è stato l'unico, finora, ad aver colto che il Partito dei Sardi non ha proposto le "primarie", ma le "primarie nazionali sarde" e che lo ha fatto non per celebrare un ben noto rito democratico, ma per creare un percorso di "governo nazionale dei sardi".

Un governo nazionale sardo è rivoluzionario, legale ma rivoluzionario. Chi vuole fare una rivoluzione profonda dei diritti, dei poteri, della cultura, dell'istruzione, dei servizi e delle istituzioni?

Noi sì; io prima di tutti mi assumo la responsabilità di dirlo e di volerlo fare. Siamo il partito più scandagliato dalle Procure della Sardegna perché abbiamo queste idee, ma abbiamo studiato per fare una rivoluzione senza farci arrestare, senza perdere una pensione, un posto di lavoro, un soldo. Abbiamo cultura di governo e sapere storico utilmente rivoluzionario.

Dinanzi a uno scenario così innovativo, le reazioni sono state da un lato l'arroccamento intorno alla Lega e dall’altro un tentativo di egemonia, giunto a ipotizzare, erroneamente, che si possano trasformare le primarie nazionali sarde, che sono rivoluzionarie, in primarie del centrosinistra.

Non serve neanche commentare la distanza culturale tra la nostra proposta e queste strategie, assolutamente legittime, ma a noi completamente estranee.

Noi vogliamo distruggere i muri tra i sardi di Destra e i sardi di Sinistra, per far scoprire che essere uniti come sardi è l’unica novità della storia. Poi, come Crivelli ha ricordato, ci sono gli attacchi diretti a me come persona.

C’è sempre un momento nella vita nel quale ci si svela agli altri e a se stessi. Chi dice che ciò avvenga quando si muore e, senza menzogne, ci si guarda nello specchio che riflette tutta la propria esistenza; chi dice invece che questo accada nei momenti centrali della vita, dove si sta come in un incrocio senza segnaletica e si deve scegliere.

Ebbene, in questo spazio metafisico, senza indicazioni, si sceglie in base a ciò che si ha dentro, perché il contesto non offre soluzioni.

Io sono un cristiano, libertario, socialista, indipendentista sardo. Ho scoperto di esserlo negli anni, ma ora lo sono con sicurezza. Questa identità culturale in Italia e in Sardegna è minoritaria.

Occorre infatti essere liberi, avere un mestiere, non dipendere da nessuno, sapere e saper fare, combattere le logiche di branco, amare i cavalli zoppi.

Sono uno che disobbedisce ogni volta che in buona fede pensa lo si debba fare. Ho scritto per la prima volta della necessità di un Partito dei Sardi nel 1994, proprio sulle colonne di questo giornale. L’ho realizzato nel 2014.

Ho vissuto e fatto politica in anni in cui i partiti nascevano e morivano con grande facilità. Ho militato in partiti che sono stati sciolti o da cui sono stato espulso, nient’altro.

Sono soddisfatto di essere e di essere stato un uomo libero che ha sempre pagato per le sue scelte. Ho governato e credo di aver fatto il bene della mia gente.

Non mi interessano le denigrazioni che la destra e la sinistra settarie imbastiscono su di me per paura. Conosco i miei difetti, che sono tanti, ma non tali da inibire la mia libertà; e non mi faccio definire dagli altri. Se potessi sgravarmi dalla responsabilità storica che oggi ho, lo farei volentieri.

Mi piace di più insegnare, scrivere, fare giornalismo che fare politica.

Ma per quanto anacronistico possa sembrare, si hanno dei doveri verso la propria patria, che per me è la Sardegna.

Paolo Maninchedda

Segretario nazionale del Partito dei Sardi
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