Solo il trasporto da oltre Tirreno costa, per un anno, 360.000 euro. In più ci sono le spese “vive”: circa 200 euro a sacca, per un totale di circa 25mila. Che in soldoni vengono cinque milioni di euro circa. Somme che escono dalle casse della Regione per importare sangue in Sardegna. Serve per le trasfusioni dei talassemici, ma anche per gli interventi chirurgici. Altri 3-4 milioni sono utilizzati per portare nell’isola farmaci plasmaderivati. Tutto dal “continente”. Ossia, nel dettaglio, da Piemonte e Val D’Aosta, Rovigo, Belluno, Cremona e altri centri trasfusionali con disponibilità. 

Succede tutti gli anni, perché le donazioni nell’Isola non sono sufficienti. Ma non si potrà contare a lungo sulle importazioni: «Novemila sacche sono arrivate dal Piemonte, ma il calo è costante: se il trend dovesse essere confermato, nel 2026 non  ne riceveremo più nemmeno una». L’allarme arriva da Mauro Murgia, che guida la struttura regionale di coordinamento del settore sangue. Nell’ipotesi di una mancata inversione di tendenza, lo scenario è pessimo: «Le scorte non basteranno, salteranno le trasfusioni e anche gli interventi chirurgici». 

L’analisi arriva dopo che il Brotzu, centro trasfusionale di riferimento per il sud Sardegna, ha pubblicato la delibera con il fabbisogno economico per affrontare le spese legate all’approvvigionamento nel 2023. Oltre alle somme impegnate per l’acquisto dal nord Italia, ci sono anche 1,6 milioni necessari per alimentare la convenzione con l’Avis provinciale di Cagliari.

L’associazione paga macchine, medici e infermieri, oltre a svolgere azione di proselitismo. E ogni sacca ha un costo medio di circa 75 euro. La stessa somma, più o meno, spetta all’Avis di Sassari, che copre quattro aziende sanitarie. Le cose funzionano, ma non abbastanza. Il pericolo che la Sardegna resti “a secco” di sangue è concreto. 

L’Isola ha un fabbisogno annuale di circa 110mila sacche. «Poco meno della metà sono destinate alle trasfusioni di circa mille talassemici. I donatori sardi sono circa 55mila», spiega Murgia, «ma nell’ultimo anno sono state raccolte solo 82mila sacche. Significa che ogni donatore ne fornisce una e mezzo circa. Basterebbe arrivare a due e il fabbisogno sarebbe coperto». E se non si può chiedere uno sforzo ulteriore a chi già mostra generosità, resta sempre un’alternativa: «Doni chi non lo fa mai», è l’appello. 

(Unioneonline/E.Fr.)

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